Lampascióni o cipullizze: prelibatezze della tradizione contadina che campeggiano su molte tavole calabresi durante questo periodo dell’anno e consumate sin dai tempi più remoti
A quanto pare anche agli antichi piacevano molto i lampascióni, i bulbi rossastri della Leopoldia comosa, erba delle liliacee chiamata comunemente cipollaccio col fiocco o anche giacinti dal pennacchio.
In Calabria sono conosciute come le buonissime cipullizze (cipullizzi o cipuddrizzi) e sono spesso protagoniste, assieme agli altri piatti della tradizione, delle festose tavole natalizie.
Presente in tutto il Mediterraneo, nei campi, vigneti e incolti erbosi questa pianta ha un bulbo ovoideo, con 3 o 4 foglie lunghe fino a 30 cm e scapi terminati da un grappolo con molti fiori bruno-giallastri; all’apice un ciuffo di fiori sterili, cerulei o violacei.
Il bulbo globuloso delle cipullizze cresce a 12-20 cm sotto terra, ed è simile ad una piccola cipolla; ne esistono 50 varietà di cui 7 presenti nel territorio italiano.
Hanno una polpa soda, profumo aromatico mentre il sapore è decisamente amarognolo. Nel sud Italia, soprattutto Calabria, Puglia e Basilicata rappresentano una vera propria leccornia.
In queste regioni i lampascióni o le cipullizze sono ormai ufficialmente riconosciuti come PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), con tutte le loro varianti di preparazione.
Consumati già dagli Egizi, a dar loro questo nome fu un medico greco di Bisanzio, Oribasio, nel V secolo a.C.; si dice che trovò questo bulbo rossastro che chiamò λαμπάς, cioè ‘splendente’ perché annunciava lo splendore del sole a primavera.
Alle cipullizze vennero attribuiti in passato molte proprietà e benefici: in tanti sostenevano che fossero afrodisiache[1].
I Romani le offrivano ai giovani sposi durante il banchetto nuziale augurandone così i loro poteri; infine erano considerate molto salutari per stomaco ed intestino[2].
I lampascioni per le loro caratteristiche divennero un prodotto di lusso: Diocleziano, infatti, nella sezione “De oleribus et pomis” dell’Edictum de pretiis rerum venalium, emanato nel 301 d.C. e che stabiliva il prezzo massimo per vari tipi di merce, li rese carissimi.
Anche oggi il prezzo non è affatto basso e le cipullizze non sono reperibili ovunque; si preparano in vari modi e sono buonissime: soffritte in padella con le patate e le uova, oppure bollite e poi conservate sott’olio con gli aromi più diversi.
Altre deliziose ricette le vedono condite con mosto cotto, fatte ad insalata, fritte in pastella, al forno col capretto, cucinate con vino bianco e pancetta oppure con pomodorini invernali appesi, origano e pecorino.
Ma in Calabria la variante forse più diffusa è con il peperoncino e l’alloro. Le cipullizze hanno un sapore molto deciso in cui l’amarognolo si fonde ad un retrogusto dolce e per questo, secondo me, la semplicità batte tutte.
Ed è per questo che sono immancabili ai nostri cenoni come secondo piatto o come contorno. Vi lascio qui la ricetta.
Buon appetito!
Cipullizze alla calabrese
Ingredienti per 4 persone:
- 500 circa gr. di cipullizze;
- Qualche foglia di alloro;
- Peperoncino rosso in polvere dolce o piccante;
- Olio extravergine di oliva;
- Sale;
- Aceto di vino.
Preparazione:
Lavare le cipullizze accuratamente per eliminare bene la terra; lasciarle a mollo in acqua per circa un’ora cambiando l’acqua due o tre volte per eliminare un po’ di amaro e sbollentarle.
Una volta scolate, mettere le cipullizze intere in una padella larga con abbondante olio, peperoncino rosso, sale e le foglie di alloro spezzate.
Ricoprire di acqua e lasciar cuocere; aggiungere a fine cottura l’aceto di vino (la quantità è a piacere in base ai gusti) e lasciare evaporare. Se sono ancora un po’ crude, aggiungere acqua finché non avranno raggiunto la giusta cottura.
Si consumano come contorno di carne o pesce o semplicemente con pane. Alcuni in cottura preferiscono schiacciare le cipullizze con la forchetta per renderle più morbide.
Sitografia
foodfilebasilicata.blogspot.com
www.taccuinistorici.it
www.treccani.it