Tra le bellezze naturalistiche e i tesori culturali della Sila Greca di Calabria c’è anche Campana: parliamo di cucina contadina e della semplice e saporitissima agliata
Campana è un piccolo comune della Sila Greca in provincia di Cosenza posto a circa 600 metri s.l.m.; come molti altri in Calabria vanta una storia millenaria raccontata attraverso fonti e testimonianze archeologiche.
Secondo studiosi e non Campana sarebbe la mitica Kalasarna (anche Calaserna o Caliserna in gergo popolare):
il termine deriverebbe dal dorico chalà, ossia ‘prominenza, sperone’ ed àrna, ‘rocca’, da cui rocca prominente.
Questa ipotesi è supportata dal fatto che l’antico Rione Terra di Campana possiede effettivamente la forma di uno sperone invalicabile, difeso da un burrone attraversabile solo tramite la presenza di un ponte levatoio e una porta chiamata ancora oggi Porta del Ponte.
Kalasarna sarebbe diventata poi Campana a seguito delle continue scorrerie e assedi che interessarono questi territori poiché, per difendersi, si sarebbero creati punti di vedetta che avevano in dotazione una ‘campana’ che dava l’allarme in caso di avvistamento di nemici.
Ne sono dimostrazione la bellissima Torre Normanna annessa alla Chiesa Matrice, l’unica ancora in piedi delle cinque costruite lungo il tracciato della cinta muraria, e la Torre dell’Orologio che un tempo vigilavano su questi luoghi.
Nella sua Geografia, Strabone lega la nascita di Kalasarna al mito magnogreco di Filottete, che approdato lungo il litorale ionico dei Bretti avrebbe fondato le città di Petelia (Strongoli), Krimissa (Cirò) e Chone (odierna Pallagorio).
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Spingendosi verso l’interno avrebbe poi dato vita, tra gli altri, anche a Vertine (Verzino?) e Kalasarna quali piccoli stanziamenti.
C’è inoltre chi ritiene che il toponimo derivi da ‘Halasarna, collegato al dio Apollo ‘Halasarnita venerato proprio a Krimissa; ‘Halasarna è anche il nome di una località di Cos in Grecia, dove il culto di Apollo era ancora più forte
Altri ancora, come il Marafioti, collegandosi a Stefano di Bisanzio (autore del VI sec. d.C.) ritengono che sia stata fondata dall’antico popolo degli Enotri-Choni e in seguito ingrandita da Filottete[1].
Campana è circondata da un’aura misteriosa e da origini leggendarie; forse è proprio per questo che si respira un fascino senza tempo.
Fascino che resiste nelle vie del suo centro storico, nei vicoletti e nelle sue costruzioni medievali in pietra, nei palazzi signorili e nelle chiese che lo adornano come quella di San Domenico, patrono del paese o quella di Santa Maria di Costantinopoli.
Gli anni e l’incuria hanno purtroppo logorato diverse strutture e abitazioni che sono pericolanti o addirittura crollate, ma che lasciano indelebili i segni dello splendore dell’epoca.
Tra storia e leggenda, Campana conserva ancora la sua bellezza e le sue peculiarità che però dovrebbero essere tutelate e ripristinate.
Diviso per convenzione in due parti, quella antica (Rione Terra) e quella nuova, regala a chi passa da qui tante suggestioni del passato.
Nel Rione Terra si trova anche la cosiddetta Porta dell’Eternità (o della Trinità), probabilmente di epoca bizantina o normanna.
Un tempo segnava l’unica via che conduceva a valle lungo un sentiero lunghissimo e tortuoso verso il fiume Nicà, nelle campagne dove esistono ancora antiche strutture dismesse come un vecchio frantoio.
Da diversi anni a popolare Campana ci sono ormai pochi abitanti e sempre meno giovani e anche gli esercizi commerciali sono limitati.
E’ però diventato famoso grazie ad un’altra sua unicità che richiama da ogni parte studiosi e turisti incuriositi: si tratta del sito megalitico meglio noto come l’Elefante di Pietra e il Guerriero (o Ciclope).
Si chiamano Giganti dell’Incavallicata, e sono posti sull’omonima altura che domina il paese;
c’è chi crede che sia stata la mano artistica della natura a crearli, molti altri invece sono convinti che sia stata quella dell’uomo, migliaia di anni fa[2].
In una c’è il profilo perfetto di un elefante con proboscide, zanne e orecchie e nell’altra forse la parte inferiore di un guerriero seduto: due sculture in pietra di arenaria che non possono non colpire l’occhio del visitatore.
Alla loro base ci sono delle grotte, forse tombe ipogee, che infittiscono il mistero e alimentano maggiormente le ipotesi che ruotano attorno alla presenza di questi megaliti.
A Campana ogni anno si svolge inoltre una centenaria fiera contadina, la Fiera della Ronza.
E’ la più antica esposizione agricola e di bestiame di tutta l’Europa meridionale, giunta nel 2019 alla sua 555esima edizione e nata nel 1464 per concessione del re di Napoli Federico d’Aragona.
Campana è ricco d’acqua grazie alla presenza di fonti sorgive; ancora oggi si trovano sparsi fontane, abbeveratoi e cisterne.
Luogo di transumanza, basa la sua economia proprio sull’agricoltura e la pastorizia;
le sue terre fertili e generose assieme ad un clima ottimale donano prodotti di alta qualità e che hanno permesso in tempi recenti l’impianto di 5 ettari di pistacchi (il primo in Calabria) e anche di fiori di zafferano.
Le piante di pistacchio selvatico (Pistacia terebinthus) sono qui presenti da secoli allo stato spontaneo e gli anziani ricordano come una volta questi alberi fossero usati come legna da ardere o per fabbricare oggetti della tradizione contadina.
Da questi si ricavava inoltre una resina, già usata dagli antichi Egizi come incenso, che nella cultura popolare campanese era impiegata come antisettico e antibatterico.
A Campana si mangia molto bene: la sua tavola vede protagoniste preparazioni quali cullurielli, pitte con la sardella o con le risimuglie (frisulimiti), maccaruni a firriettu, i fagioli (‘a suraca) cotti nella pignata, melanzane ripiene, cipullizze e, immancabili, salsicce, soppressate e formaggi.
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Fra le ricette della sua cucina povera ce n’è una che mi ha colpito per la semplicità dei suoi ingredienti e della sua preparazione:
la chiamano agliata ma anche pimmacorne russe siccate ccu l’aglju e si mangia soprattutto nei mesi invernali.
Si fa con i peperoni secchi, conserve estive, e l’aglio, tanto aglio; oggi è un piatto che non tutti a Campana preparano e conoscono ma che fa sicuramente parte della sua memoria storica contadina.
Per l’agliata si preparano i peperoni rossi secchi, meglio se piccanti, che vengono fatti rinvenire prima in acqua fredda.
Si sbucciano un paio di teste d’aglio (per l’agliata ce ne vogliono un bel po’) che poi in una padella vengono messe a cuocere con acqua ed olio.
Si aggiungono i peperoni che in cottura rilasciano un bel sughetto profumato e rosso; l’aglio si ammorbidisce e il suo gusto pungente viene smorzato.
Nonostante l’effetto ‘poco piacevole’ legato alla consumazione dell’aglio nelle pietanze e la presenza dei peperoni un po’ difficili da digerire, questa agliata è davvero molto saporita.
Si mangia accompagnata con una bella fetta di pane; nella frugalità e nella modestia di un pasto di questo tipo si celano immagini di un mondo che sembra lontano da noi.
Eppure, mangiare un piatto così schietto, forse un po’ ‘impegnativo’ per alcuni palati, fa venir voglia di rivivere quei tempi, giusto per riassaporarne l’autenticità e la genuinità.