Garum romano

E’ la salsa di pesce più famosa dell’antichità ancora oggi presente nella cucina di diversi paesi, ben oltre il Mediterraneo: il garum e la sua lontana tradizione gastronomica

Gli antichi Romani furono i maggiori consumatori di garum, la famosissima salsa di pesce importata dall’Oriente che ancora oggi sopravvive nelle tradizioni gastronomiche di molti paesi non solo del Mediterraneo;

il termine garum, infatti, deriva dal greco gàron (γάρον), ma probabilmente la ricetta del pesce fermentato proviene da più lontano, e ciò trova conferma nell’alusa kud[1] prodotto dai popoli mesopotamici già nel III millennio a.C.

Il garum (Fonte: best5.it)

Le fonti riportano diverse metodologie per la sua preparazione;

nel suo ricettario, il gastronomo romano Apicio, grazie al quale conosciamo la maggior parte dei piatti della tradizione romana, non ci descrive il garum ma si limita solo a dare consigli sulla sua correzione nel caso emanasse cattivo odore, probabilmente perché anche lui ne ignorava l’esatto procedimento[2].

Ci sono poi storici come Elio Lampridio che nella Vita di Eliogabalo sostiene che durante i banchetti dell’eccentrico imperatore non mancava mai una salsa di pesce inventata dai Sibariti nel 510 a.C., lo stesso anno in cui la polis fu distrutta nella sanguinosa guerra con la città di Crotone (LEGGI ANCHE IL POST SULLA TRYPHE’ DI SIBARI);

si trattava di un pasto fatto di olio e gàron chiamato “sibaritico”, ridotto a guazzetto e stemperato con l’aceto o con il vino o, appunto, con l’olio[3].

Resti di garum provenienti dalla cetaria di Santa Pola in Spagna (Fonte: commons.wikimedia.org)

Qualche informazione in più riguardo al garum ci viene da autori come Plinio il Vecchio[4], Gargilio Marziale o da un testo greco più tardivo, quello dei Geoponica.

In quest’ultimo così viene descritta: […] ”si pongono le interiora dei pesci in un recipiente e si salano; anche piccoli pesci, soprattutto latterini o trigliette o menole o ‘bocche di lupo’, o ciò che sembri piccolo; si sala tutto allo stesso modo e si fanno macerare al sole, girandoli spesso.

Quando risultano macerati per effetto del caldo, si estrae da essi il garum in tal modo…

…Si inserisce nel recipiente, colmo dei suddetti pesci, un cesto fittamente intrecciato attraverso il quale si filtra la salsa. In tal modo si estrae la parte liquida (liquamen) filtrata per il cesto.

Il residuo rimante è l’allec…. Il miglior garum, quello chiamato ‘salsa di sangue’[5] si prepara così: si prendono le interiora del tonno, con le branchie, il liquido e il sangue e si cosparge di sale quanto basta;

dopo averlo lasciato nel vaso, generalmente per due mesi, fora il recipiente: così si estrae il garum chiamato ‘salsa di sangue[6]. […]

Secondo Gargilio Marziale[7], vissuto nel III secolo d.C., invece il garum si faceva così: “Si prendano pesci grassi come salmoni, anguille, salacche, sardine; quindi a tali pesci si uniscano sale, erbe aromatiche secche come aneto, menta, levistico, puleggio, timo, serpillo, coriandolo, sedano, origano, ruta, salvia, santoreggia ed altre.

Di queste erbe si disponga un primo strato sul fondo di un capace vaso; sovra si ponga uno strato di pesci: interi se piccoli, a pezzi se grossi; si copra con uno spesso strato di sale e si ripeta l’operazione fino a che il vaso sia colmo.

Si chiuda quindi con un coperchio e si lasci riposare per sette giorni. Poi, per venti giorni, si rimescoli il tutto. Alla fine si raccolga il liquido che ne colerà”.

Dunque il garum ha una storia gastronomica davvero molto antica, che ne attesta un grande apprezzamento e una larga diffusione, anche se a volte viene descritto come un intruglio putrido e puzzolente[8];

era prodotto in diversi centri del Mediterraneo sia con pesci piccoli che con pesci grandi, era più o meno pregiato ed era usato addirittura in medicina[9].

Alcune qualità di garum erano di consistenza fluida, altre semisolida, di colore scuro; altre ancora si presentavano come un liquido ambrato con riflessi dorati.

A quanto pare quello più pregiato e costoso era quello di sgombro prodotto a Cartagine Spartaria, l’odierna Cartagena in Spagna, che Plinio chiama sociorum[10].

Famosi per il loro garum erano anche le città di Clazomene, Leptis Magna e Pompei mentre per il liquamen (o muria) le città di Antipoli e Turi, nonché la Dalmazia[11].

Mosaico con anfora di garum, Villa Aulus Umbricius Scaurus, Pompei; reca la scritta G(ari) F(los) SCAM(bri) SCAURI (Fonte: it.wikipedia.org)

Indipendentemente dall’origine o dalla qualità̀ del garum, la salsa veniva immagazzinata in anfore di ceramica per il trasporto in tutto l’impero, di diversa tipologia e differenti da quelle per l’olio e il vino.

Da ritrovamenti archeologici[12] si hanno le “etichette” dipinte sui recipienti (tituli picti) che ne indicavano il contenuto. I Romani furono i primi a creare una vera e propria industria per produrla, degli stabilimenti specializzati nelle conserve ittiche chiamati cetariae.

Sempre da Apicio sappiamo che il garum era ingrediente di altre preparazioni più o meno complesse: sughi, condimenti, e farciture riportate col nome greco.

Si avevano salse come l’oenogarum (οἰνόγαρος), prodotto tramite la riduzione a fuoco lento di una miscela di garum, spezie e vino (anche dolce), che si conservava a lungo[13];

poi c’era l’hydrogarum (ὑδρόγαρον), un’emulsione di garum, acqua e spezie (e anche vino), usato per cuocere delle polpette[14].

Molto apprezzato era anche l’oxygarum (ὀξύγαρον), preparato con aceto forte ed infusione di spezie, erbe aromatiche e un po’ d’olio[15];

infine, sebbene Apicio non ne parli, esisteva anche una variante detta eleogarum (ἐλαιόγαρον) con olio d’oliva e poco aceto, che emulsionata era usata per condire le insalate.

La preparazione della colatura di alici (Fonte: www.rosmarinonews.it)

Il garum nasce attraverso una “autodigestione” con conseguente fermentazione di pesci mediante il sale marino;

questo processo si trova ancora oggi nella preparazione di molte salse di pesci dal pissalat di Nizza allo tsirosi greco, dal fesikh dell’Egitto al ca-thuy della Cambogia fino al nuoc-nam vietnamita.

In Italia la discendente più famosa del garum è senza dubbio la Colatura tradizionale di alici di Cetara, prodotto d’eccellenza della Costiera Amalfitana, diventata PAT regionale e Presidio Slow Food. Altro esempio, a me più vicino, è la piccante Sardella calabrese (GUARDA IL VIDEO SULLA PREPARAZIONE DELLA SARDELLA CALABRESE).

 

LEGGI ANCHE IL POST SULLA SARDELLA, IL CAVIALE CALABRESE

 

Bibliografia e sitografia

Giuseppe Nocca, Le Officine del garum sulla costa mediterranea ed atlantica del Marocco, Cerealia Festival 2016

Marco Gavio Apicio, De re coquinaria

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

www.lastoriaviva.it

 

[1] Il termine tradotto significa “salsa di pesce”. Tecnicamente l’alusa kud sarebbe stata solo la parte liquida mentre tutto il resto avrebbe preso il nome di shiqqu (molto più simile al garum).
[2] “Se il savore (liquamen) abbia acquistato odor cattivo, rovescia un vase e favvi entrare fumo di lauro e cipresso; quindi infondivi il savore, il quale per lo innanzi avrai esposto all’aria. Se pizzichi di troppo sale, e tu vi unisci venti oncie di m(i)ele e diguazza con lavanda. Così sarà riaccomodato. Col mosto recente otterrai lo stesso effetto. (De re coquinaria, Lib I, Capo VII)
[3] Tale ipotesi, però, risulta per la maggior parte degli studiosi, senza alcun fondamento.
[4]Un altro tipo di liquido pregiato che chiamarono garon, è fatto con intestini di pesci ed altre parti che di norma si dovrebbero buttare via, macerati nel sale, sicché quello diventi la feccia di cose in putrefazione. Questo garum era una volta ottenuto da un pesce, che i Greci chiamavano γάρος, notando che bruciandone la testa con un suffimigio, si estraeva la placenta…”  (Naturalis Historia, XXXI, 95)
[5] Gáros aimátion (γάρος αἱμάτιον)
[6] Geoponica, Libro XX, 46,
[7] De medicina et de virtutae herbarum
[8] Platone lo definì putrido, Plinio “feccia di cose in putrefazione” e Marziale in un epigramma allude al puzzo del garum paragonandolo all’alito del suo conoscente Papilo.
[9] Il garum veniva usato dai medici per placare il dolore nella bocca e nelle orecchie, per guarire ustioni, morsi di cani, ulcere e infezioni. Secondo Columella il liquido aveva virtù terapeutiche anche in campo veterinario. Con esso si curavano le cavalle colpite da una terribile malattia (la pestifera labes, ossia un dimagrimento improvviso) che nell’arco di pochi giorni le conduceva alla morte. Alle mule malate di suppurazione si introduceva nella narice sinistra un sestario di ottimo garum mescolato con una libbra di olio e l’albume di tre o quattro uova.
[10]Oggi il garum più prezioso si ottiene dallo sgombro negli allevamenti di Cartagine Spartaria: è chiamato Garum dei Soci, con mille sesterzi se ne comprano quasi due congi. Nessun liquido, ad eccezione dei profumi, inizia ad avere prezzo maggiore, anche tra i popoli di un certo rango” (Naturalis Historia, Lib. XXXI, cap. 95)
[11] Naturalis Historia, Lib. XXXI, cap. 95
[12] Numerosissime sono le anfore di garum che si trovano nella collina del Testaccio, a Roma, formata dalla stratificazione dei recipienti che arrivavano nell’Urbe e che, dopo essere stati vuotati, venivano gettati in quel luogo.
[13] Apicio lo consiglia come salsa per condire i tartufi, il fegato o anche per il pesce (Apicio, De re Coquinaria, libro I, XVII: Oenogarata in tubera; ibidem libro VII, III: In ficato oenogarum; idem, libro X, 11-12: In pisce oenogarum
[14] Apicio, De re Coquinaria, libro I, II 1; 2; 5: Esicia plenaIdrogarata esiciaEsicium simplex.
[15] Apicio raccomanda di usare come salsa digestiva, o anche come ingrediente ulteriore in un digestivo medicinale chiamato ossiporo (Apicio, De re Coquinaria, libro I, XX: Oxygarum digestibilem – Libro I, XVII: Oxyporum)
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2 commenti

  1. Grazie mille per il articolo.

    Marevigliosa compilazione di informazione di qualità. Texto di sapore concentrato come il proprio garum.

    Sono elaboratore di formaggio nel sud dei Pirinei, laureato in storia ed innamorato della antropologia d’il cibo.

    Difficile di trovare informazione sul garum un po’ più dila dei luoghi comuni.

    Grazie davvero!

    1. Grazie di cuore, Arriel!
      Come puoi notare anche a me piace molto parlare di cibo e cultura.
      Grazie ancora!

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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