Il calice di Ebe - Appunti di cultura e tradizione enogastronomica

Ebe, la dea della giovinezza e l’ancella enofora che serviva il nettare agli déi. Per me rappresenta una prima donna sommelier, che mi ha ispirata dando il nome a questo blog. Vi racconto di lei, del suo antichissimo mito e delle sue rappresentazioni artistiche

Seduti intorno a Zeus, gli déi stavano a convegno

sul pavimento d’oro, e fra loro Ebe veneranda

mesceva come vino il nettare; quelli con le coppe d’oro

brindavano gli uni agli altri, volgendo lo sguardo a Troia.

Iliade IV, 1 ssg.

 

Nel ‘500 Vincenzo Cartari, nella sua interessantissima opera mitologica “Le imagini de i Déi degli antichi” così descriveva Ebe e i suoi attributi:

Il che pare essere proprio di tutti gli altri dei ancora, che non invecchino mai;

onde Omero disse che Ebe, la quale voce appresso de i Greci viene a dire “fiore della età” e significa la prima lanugine che mettono i giovani, ministrava il vino, o nettare che fosse, e dava bere a tutti gli altri dei, sì come Ganimede a Giove solo.

Percioché questa fu la dea della gioventù, adorata parimente da gli antichi, e la facevano i Romani nel tempio che a lei fu dedicato nel Circo Massimo da Caio Licinio, votato sedici anni prima da Marco Livio il dì che ruppe l’essercito di Asdrubale, come scrive Livio, in forma di bellissima giovane con vesti di diversi colori e con ghirlande di bei fiori in capo, poco differente dalla dea Pomona.

Ma come fosse fatta (Ebe) dà Greci non saprei dire, perché Pausania scrive che nel tempio dedicatole nel paese di Corinto in certo boschetto di cipressi non ebbe questa dea statua alcuna che si mostrasse e manco che stesse occulta, per certa ragione misteriosa la quale egli non ha però voluto dire; né io l’ho saputa trovare scritta da altri.

Nondimeno l’adoravano quelle genti e le facevano grandi onori, et il maggiore era che chi fuggiva colà umilmente supplicando la dea era liberato per rispetto di lei da ogni castigo e pena che avesse meritata per qual si voglia grave peccato, e quelli che essendo cattivi e co’ ferri alli piedi si liberavano solevano portare i ceppi quivi e gli appiccavano a gli alberi presso al tempio“.

Bellissima fanciulla, attrae per la sua figura perfetta e per la freschezza dei suoi anni;

è cantata dai poeti per la leggiadrìa e la perfezione delle forme, per la dolcezza e l’espressione consolante.

Non è importante, non ha una storia complessa;

è il simbolo della primavera della vita, incanta ma non può rifarsi a ricordi che rendano articolata (ed in un certo qual modo anche interessante) la sua esistenza.

Viene chiamata la più bella delle dee, ma non la dea della bellezza.

Ebe (“Ηβη, Hebe), è una divinità poco conosciuta, ma sicuramente molto, molto antica.

Figlia di Zeus ed Hera, era la personificazione divina della giovinezza, che danzava al suono della lira di Apollo assieme alle Ore e alle Muse.

Nell’Iliade viene presentata da Omero come l’ancella enofora degli déi dell’Olimpo, la fanciulla-coppiera che mesceva loro il nettare, di cui si cibavano assieme all’ambrosia per rimanere giovani e immortali.

Nel culto, Ebe si trova a stretto legame con Hera, di cui era ancella;

è talvolta considerata il suo doppio, madre e figlia sono quasi un unico inscindibile, come si può notare nelle immagini ritrovate nell’Heraion di Micene e in quello di Mantinea, oppure in diverse pitture vascolari;

il ruolo di coppiere successivamente fu affidato ad un uomo, Ganimede.

Secondo la leggenda, un giorno Ebe, mentre stava servendo agli déi il nettare, sarebbe caduta in modo poco conveniente al luogo e per questo suo padre Zeus l’avrebbe dispensata da questo delicato compito, ma rimase comunque la dea della giovinezza.

Mitologia ed autori come Omero, Esiodo e Pindaro, la ricordano anche sposa di Eracle, e lo dimostra il culto di quest’ultimo nell’Attica, dove Ebe era venerata al suo fianco.

Questo matrimonio è simbolo dell’accesso da parte dell’eroe anche all’eterna giovinezza, oltre che all’immortalità.

Presso i Romani il culto della dea greca Ebe si identificò con quello di Iuventas, proveniente dall’epiteto latino di Iuppiter, in quanto dio che presiede a ogni accrescimento e a ogni sviluppo degli iuvenes, cioè degli uomini in età militare;

infatti, nelle grandi famiglie dell’antica Roma, si celebrava la solemnitas togae purae, una funzione ufficiale dei giovani che passavano dalla toga praetexta della fanciullezza alla toga virilis del cittadino romano.

Essi si recavano sul Campidoglio a deporre una moneta nel tesoro della dea Iuventas e compivano un sacrificio sul suo altare o davanti al simulacro del dio Liber.

Iuventas fu dunque personificazione dell’eterna e balda giovinezza, da cui proveniva la forza e la potenza dello stato, immagine del perenne rifiorire e ringiovanire dello stesso;

in suo onore si celebravano le Iuvenalia, feste che comprendevano giochi dati dai collegia iuvenum o iuventutis, che propriamente si dissero ludî iuvenum iuvenales.

Di questo genere fu la festa celebrata da Nerone per la prima volta che gli fu tagliata la barba, aggiungendo un giorno festivo ai Saturnali.

Iuvenalia furono detti anche gli spettacoli dati da Nerone nel 59 d.C. su un teatro costruito nel Caianum, ove per la prima volta apparve vestito da citaredo[1].

Le fu eretto un sacello all’interno del tempio della triade capitolina e un tempio presso il Circo Massimo.

Sotto Augusto fu poi concepita e raffigurata esclusivamente con le qualità e gli attributi della greca Ebe e l’imperatore le eresse un altro tempio sul Palatino.

In antichità gli attributi che caratterizzavano Ebe erano l’ampolla, il calice e a volte anche l’aquila, simbolo di Zeus.

Questi ritornano durante il Rinascimento, mentre durante il Medioevo le raffigurazioni di Ebe o Iuventas, sembrano essere state completamente dimenticate.

Probabilmente, essendo una divinità “minore” che fa da contorno ad altre più importanti, è stata accantonata in un angolo sia dagli artisti che dai poeti e letterati per dare spazio ad altri déi.

Il primo disegno rinascimentale di Ebe fu eseguito dal Parmigianino nel 1535. Hubert Gerhard, scultore allievo del Giambologna, sempre nel XVI secolo realizzò una statuetta in bronzo raffigurante la dea della giovinezza con l’ampolla e il calice.

Hebe, Hubert Gerhard, 1590, bronzo (Fonte: it.pinterest.com)
Ebe e Ganimede, Parmigianino, 1535 ca, Parigi, Musée du Louvre (Fonte: www.engramma.it)

Troviamo poi Ebe affiancata a Giove o Ercole per la realizzazione di affreschi decorativi dedicati alle divinità, come ad esempio, tra i più famosi, il ciclo dipinto da François Le Moyne tra il 1733 e il 1736, nel Salone di Ercole del castello di Versailles.

In molti casi, dietro alle sembianze anticheggianti di Ebe, si nascondevano il volto e la fisionomia di personaggi reali, utilizzandole come paradigma mitologico, mediante il quale elevare le dame contemporanee al rango di divinità.

E’ il caso di Madame de Pompadour, che in una statuetta si fece rappresentare come Ebe da Etienne-Maurice Falconet, nel 1750.

Dopo il periodo napoleonico però la figura della dea non venne più utilizzata per i ritratti allegorici.

Sopravvisse successivamente in qualche raffigurazione astratta e priva di contenuto come soggetto erudito e divinità del pantheon classico.

Apoteosi di Ercole (soffitto), François Le Moyne (1733-1736), Reggia di Versailles (Fonte: it.wikipedia.org)
Ebe, Antonio Canova, Musei di San Domenico, Forlì (Fonte: http://cultura.biografieonline.it)

Famosa è sicuramente la statua di Antonio Canova, di cui esistono quattro versioni: l’unica in Italia è conservata ai Musei di San Domenico a Forlì.

L’opera, commissionata nel 1795 fu completata dopo 4 anni, e raffigura Ebe mentre incede con passo lieve, quasi da danzatrice, immersa in un atteggiamento riverente e silenzioso.

Sospesa su una nuvola, la dea presenta una ricercata acconciatura raccolta in un diadema e mossa da un soffio di vento;

il busto è nudo, mentre la parte inferiore del corpo è ammantata in un drappo che ne esalta il corpo flessuoso.

La giovane regge un’anfora e un calice di bronzo, materiale di cui sono fatti anche il nastro dei capelli e la collana.

 

Bibliografia e sitografia

Il romanzo della mitologia dalla A alla Z, Gaetana Miglioli, Casa Editrice G. D’Anna, pagg. 90-91

http://cultura.biografieonline.it/ebe-canova/

it.wikipedia.org

www.treccani.it

www.ilcerchiodellaluna.it

https://tanogabo.com/ebe-lancella-degli-dei

www.archart.it

http://maspo.altervista.org

www.engramma.it

www.summagallicana.it

 

[1] www.treccani.it
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2 commenti

  1. Salve, sto lavorando alla tesi e avrei necessità di sapere in quale luogo sia descritto l’episodio della caduta di Ebe.
    La ringrazio tanto in anticipo!

    1. Buonasera Tiziana,

      l’episodio di Ebe che cade in maniera poco conveniente non è descritta in nessuna fonte ma che io sappia è piuttosto il racconto mitologico stesso. Si narra anche che questa caduta fu la scusa con cui Zeus diede al principe troiano Ganimede il posto di coppiere degli dèi perchè se ne era invaghito.

      Spero di esserti stata utile!

      A presto e in bocca al lupo per la laurea!

      PS qual è l’argomento della tua tesi?

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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