Le Vernacce di San Gimignano, Oristano e Serrapetrona: i tre volti di un omonimo vitigno

Un solo nome per tre vitigni, differenti per storia e caratteristiche: Toscana, Sardegna e Marche sono le regioni che producono vino utilizzando la vernaccia.

L’origine del nome è ancora incerta: secondo alcuni deriverebbe da vernaculus, termine latino che indica tutto ciò che proviene da un dato luogo (anche nel termine tedesco vernatsch che indica il vitigno altoatesino schiava, possiamo cogliere questa stessa derivazione);

per altri potrebbe derivare da Vernazza, villaggio delle Cinque Terre in Liguria.

Scopriamo in dettaglio questo tris ampelografico, da cui nascono una DOC e due DOCG.

La Vernaccia di San Gimignano

Ci troviamo nel cuore della Toscana, tra le splendide campagne a metà strada tra Firenze e Siena, immersi in un paesaggio in cui svetta questo borgo fortificato, famoso per la sua architettura e per le sue belle torri medievali che rendono il profilo cittadino davvero unico e inconfondibile.

Del vitigno vernaccia si ha testimonianza molto antica a San Gimignano: già nel 1276, negli Ordinamenti di Gabella della città, è riportata la descrizione di una tassa pari a “tre soldi” applicata su un vino di gran pregio chiamato con questo nome, venduto al di fuori del territorio.

Anche Dante Alighieri nel XXIV canto del Purgatorio ne parla, nei versi in cui viene descritto il supplizio di Papa Martino IV che sconta i suoi peccati di gola[1];

amato da Lorenzo il Magnifico, allietò non solo i suoi pasti ma anche quelli del bacchetto di nozze dei Medici-Rucellai nel 1468.

In seguito fu lodato anche da Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese per le proprietà organolettiche, e celebrato nei versi di Francesco Redi, medico naturalista e letterato del XVII secolo.

San Gimignano (SI) – Fonte: www.famigliacecchi.it
Panorama della campagna attorno a San Gimignano

Questa pregiata varietà è sempre rimasta nel territorio del comune di San Gimignano e non ha niente a che fare con altre vernacce presenti in Italia.

L’enologo Giuseppe De Astis (1937) per primo afferma la specificità e la distinzione di questo vitigno dalle altre tipologie italiane, affermazione comprovata dalle più recenti ricerche scientifiche.

L’area di diffusione dell’uva vernaccia di San Gimignano è ristretta al territorio circostante il comune omonimo, dove in alcuni casi a livello popolare è confusa con il canaiolo bianco.

Nel 1990 sono stati certificati circa 730 ettari di vigneto coltivato a vernaccia a San Gimignano e dintorni.

E’ stata senza dubbio una delle prime varietà italiane a essere riscoperta in termini di qualità e di immagine, tanto da essere l’unico vino bianco toscano a fregiarsi del riconoscimento della DOCG.

Il grappolo è grosso e allungato, di forma piramidale, semicompatto e talvolta provvisto di un’ala.

L’acino, di forma quasi discoide e di grandezza media, possiede una buccia di medio spessore, pruinosa e di colore verde giallastro che diventa ambrato nella parte più esposta al sole.

Si raccoglie generalmente nell’ultima decade di settembre o nei primi giorni di ottobre.

Produce un vino bianco dalle caratteristiche originali che può anche essere adatto a un medio invecchiamento.

Il colore è giallo paglierino chiaro, gli eleganti profumi rimandano a note fruttate e floreali in età giovanile, mentre di frutta secca specialmente nei vini ben evoluti, sviluppando anche il caratteristico sentore minerale di pietra focaia.

Il corpo può anche essere importante, dato il buon potenziale estrattivo e alcolico, bilanciato da giusta acidità.

Grappolo di vernaccia di San Gimignano (Fonte: http://convivium.it/vini/la-vernaccia-di-san-gimignano-compie-50-anni123/)

La Vernaccia di Oristano

L’origine di questo vitigno è molto antica.

Una leggenda attribuisce a Santa Giusta, scesa dal cielo nella sua terra colpita dalla malaria, il dono del vitigno, dal quale, si sarebbe ricavato un vino miracoloso, capace di debellare il morbo.

Da qui un’altra possibile origine del nome: da vernum, primavera, per indicare il momento di rinascita degli abitanti del paese.

Leggende a parte, pare che la varietà sia stata importata in Sardegna dai Fenici, che l’avrebbero introdotta attraverso il porto dell’antica città di Tharros situata nella penisola del Sinis, all’interno dell’attuale areale di coltivazione:

i numerosi reperti archeologici rinvenuti, dimostrano le sue antichissime origini anche se alcuni studiosi sostengono che la prima diffusione sia databile in epoca romana, mentre altri pensano che il vitigno sia giunto sull’isola proveniente dalle coste della Spagna.

Nel XIV secolo, la regina Eleonora d’Arborea, grazie ad apposite norme contenute nella Carta de Logu (la prima raccolta di leggi scritte della Sardegna), ne protesse e ne incentivò la coltivazione.

Vigneti di vernaccia ad Oristano (Fonte: www.civiltadelbere.com/vernaccia-di-oristano-aria-acqua-e-pietra/)

L’area di produzione della DOC Vernaccia di Oristano è concentrata in un gruppo di comuni della bassa valle del Tirso, dove le terre si distinguono in gregori (più alte e asciutte) e bennaxi (un tempo paludose, ora le più fertili, da cui si ottiene il prodotto migliore).

Allevato tradizionalmente ad alberello, la vendemmia si effettua generalmente verso la fine di settembre.

Il grappolo ha dimensioni minute e forma cilindrica o cilindrico-conica; l’acino è ugualmente piccolo, rotondo o subrotondo, con buccia sottile e fragile, molto pruinosa, di colore giallo dorato o verdastro.

Nei primi mesi di vita il vino è senza carattere, ha un colore pallido e sapore tenue; all’inizio della primavera è filtrato e comincia ad assumere caratteristiche più marcate.

La particolarità di questo vino è dovuta soprattutto al suo invecchiamento: dopo due anni in botti di rovere o castagno diventa un ottimo vino bianco, con profumi intensi e piacevole gusto di mandorla;

il successivo affinamento, di tipo ossidativo, può durare anche dieci anni, in botti scolme dove il vino è protetto da uno spesso velo di lieviti (la flor) che permettono una lenta ma perfetta evoluzione.

Questo procedimento lo fa collocare nel panorama internazionale a fianco di prodotti come lo Sherry.

Il vino così acquista un bouquet complesso e singolare, particolarmente intenso, che in sardo è detto “murruau”: sentori eterei, di lievito, di mandorle o nocciole tostate, di scorze d’arancia e di albicocche secche, di miele amaro, di spezie come la cannella e la vaniglia e nelle riserve più datate profumi di funghi secchi, di muschio e di sottobosco.

Si prevedono le tipologie Secco, Superiore, Superiore Riserva, Liquoroso Dolce e Liquoroso Secco.

Grappolo di vernaccia di Oristano (Fonte: www.lestradedelvino.com/articoli/vernaccia-di-oristano/)

La Vernaccia (Nera) di Serrapetrona

Al vernaccia nera si attribuisce il primato di essere una tra le migliori varietà di uve allevate nelle Marche.

Vitigno tanto raro quanto antico, oggi la sua coltivazione è concentrata in una ristretta zona preappenninica della provincia di Macerata attorno a questo meraviglioso borgo medioevale arroccato sulle colline (a circa 500 metri d’altezza) e dominante il lago di Borgiano, dove è considerato autoctono.

In passato spesso è stato ritenuto affine al grenache (e quindi al cannonau e al tocai rosso), dal quale però si differenzia per una maturazione più tardiva e per alcune diversità genetiche.

La produzione di vino a Serrapetrona è attestata fin dal XV secolo, quando gli statuti vietavano “di gettar fecce di vino per le vie del castello”.

Nel 1893 la produzione era tanto piccola che quasi si estinse, anche se nel 1876 un documento ufficiale del Ministero dell’Agricoltura, il “Bollettino Ampelografico”, sottolineava come “fin dal 1872 la vernaccia venne dichiarata la prima delle uve colorate per fornire eccellenti vini da pasto”.

Luigi Veronelli lo aveva definito “gran vino, degno di cru, degno di fama: colore rosso porporino, caratteristico personale sui generis largo e continuo bouquet, sapore dolce e tuttavia elegante, che va attenuandosi, sempre più spirituale, in bottiglia”.

Facile individuare la genesi del nome, simile a quella che ha portato alla denominazione delle altre vernacce italiane.

Diverse sono le storie sull’origine del nome Serrapetrona, forse derivato da Petronius, nobile esule cittadino romano stabilitosi in queste terre per sfuggire a persecuzioni, oppure più semplicemente desunto dalle molte pietre che si trovano nei dintorni della città.

Buona parte dei vigneti di vernaccia nera si concentrano nell’entroterra maceratese, in particolare nei comuni di Serrapetrona, Belforte del Chienti, San Severino Marche e Caldarola.

Panorama di Serrapetrona (MC) – Fonte: www.tychemagazine.it/alla-scoperta-della-vernaccia-di-serrapetrona-con-appassimenti-aperti/

Le denominazioni che lo contemplano in purezza sono la DOCG Vernaccia di Serrapetrona e la recente DOC Terreni di San Severino Rosso.

In assemblaggio con altre uve è presente anche nella DOC Colli Maceratesi Rosso.

Il vitigno si adatta male fuori dagli ambienti in cui è tradizionalmente coltivato.

Presenta un grappolo di media grandezza, non troppo compatto e spesso alato, con acini sferici, appena allungati, di media dimensione, dalla buccia pruinosa che a maturazione raggiunge una piena tonalità tra il viola intenso e il blu scuro.

Matura abbastanza tardi, di solito nella prima decade di ottobre.

Il vino Vernaccia di Serrapetrona è uno dei pochi spumanti rossi d’Italia, proposto nelle versioni Secco, Amabile e Dolce.

Il metodo di vinificazione è molto particolare ed è forse l’unico vino al mondo che prevede tre fermentazioni e rifermentazioni successive:

una parte delle uve viene vinificata al momento della vendemmia; il restante (almeno il 40% del totale, tutto a base di vernaccia nera) viene messo ad appassire.

Entro la metà del mese di gennaio l’uva viene pigiata, e alla fine del mese inizia l’ultima fase, che consiste nell’unione del mosto ottenuto dalle uve appassite con il vino base.

Ha inizio a questo punto la terza ed ultima fermentazione naturale per ottenere uno spumante unico e raro.

Il risultato è un vino leggermente aromatico, fragrante e vinoso, dai richiami vegetali e di frutta rossa.

Le stesse caratteristiche sono patrimonio della più rara versione ferma, che evidenzia un carattere meno rustico e giovanile.

Grappolo di vernaccia nera di Serrapetrona (Fonte: www.cittadelvino.it)

 

Bibliografia

Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore, pagg. 492-494

 

[1] “Questi”, e mostrò col dito, “è Bonagiunta, Bonagiunta da Lucca; e quella faccia di là da lui più che l’altre trapunta ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia” (Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXIV).

 

 

 

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2 commenti

  1. Ciao mi sono iscritto al corso sommelier. Ho letto quanto riportato sulla vernaccia e mi interessa. È possibile ricevere l’articolo? Non hai trattato la vernaccia di Cannara o dei Colli Martani, come mai?
    Grazie tante e saluti
    Tore

  2. Ciao Tore,
    non conoscevo la Vernaccia di Cannara. Ho letto che si chiama così ma non è fatta con uve di vernaccia (bianca o nera) ma con altri uvaggi tra cui cornetta e sagrantino.
    Confermi?

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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