Metodo Soleras

Il vino liquoroso siciliano che ha fatto fortuna grazie ad una tempesta e ad un ‘wine scout‘ britannico

La storia comincia molto tempo fa, su una piccola isola poco lontano dalla costa siciliana, Mozia.

Al centro del Mediterraneo, quest’isola fu un importante snodo commerciale per le rotte dei Fenici; distrutta dai Greci, padroni della Sicilia orientale nel 397 a.C., sotto il tiranno di Siracusa Dionisio il Vecchio, rinacque nella nuova città di Lilibeo, su di un promontorio lungo la costa.

Con l’ultima battaglia della prima guerra punica presso le isole Egadi, venne conquistata dai Romani dopo anni di assedio e fece parte del loro impero fino alla fine dello stesso.

Successivamente in Sicilia arrivarono gli Arabi, un popolo che fece risorgere la città con il nuovo nome di Marsa ‘Alì (Porto di Alì) come si ha dal geografo Edrisi, o secondo alcuni Marsa Allah (Porto di Allah), in onore del suo importante porto.

La presenza araba è comunque ben visibile nei nomi, nelle tradizioni culinarie, nell’impianto urbanistico e in alcuni elementi architettonici; la viticoltura in questa zona è tra le più antiche della Sicilia.

Fu con lo sbarco dei primi Cretesi, nel XV secolo a.C., e poi dei Fenici che si insediarono nell’isola dal XII secolo a.C. che fu conosciuta la vitis vinifera.

Ai Greci spetta sicuramente il merito di aver importato nuovi metodi di coltivazione e di produzione riuscendo ad ottenere vini corposi, densi di aromi e di elevato grado alcolico, esportati in tutto il mondo antico.

Il famoso vino liquoroso che porta lo stesso nome di questa località, nasce tradizionalmente nel 1773 grazie ad una fortunata tempesta che costrinse un mercante inglese di Liverpool, John Woodhouse (il quale era diretto a Mazara del Vallo con il suo brigantino Elisabeth per i suoi commerci di ceneri di soda), a fare una sosta nel porto di Marsala.

Nel rifocillarsi in una delle tante osterie qui presenti, gli venne offerto un vino locale, il migliore prodotto dai contadini e riservato alle grandi occasioni: il Perpetuum.

Era un vino forte, corposo e maturo, invecchiato in grandi botti di buon legno, ricolmate con del vino giovane ogni volta che, raggiunta la maturità, ne veniva spillato il giusto quantitativo per il consumo.

Questa operazione, ripetuta nel tempo e nel corso degli anni, assicurava un sapiente blend tra vini più o meno invecchiati, proprio ‘in perpetuo’, con una tecnica di produzione simile a quella dei più rinomati Porto, Sherry o Madeira, vini che piacevano molto agli inglesi.

Woodhouse decise di acquistarne una grossa scorta da vendere in Inghilterra.

Per risolvere il problema della cattiva conservazione del vino nel trasporto via mare, aggiunse nelle botti di Perpetuum un po’ di acquavite di vino, aumentando così la gradazione alcolica e assicurando il carico fino a destinazione.

Il successo fu incredibile: il vino andò a ruba e questo convinse il mercante a tornare a Marsala ed iniziare una nuova e stabile attività commerciale.

Alla fine del XVIII secolo era ormai abitualmente bevuto su tutte le navi britanniche; anche l’ammiraglio Nelson era solito festeggiare una vittoria bevendolo, e si racconta che proprio dopo la storica battaglia di Trafalgar, il Marsala divenne il ‘victory wine‘, ossia vino della vittoria.

Anche altri imprenditori inglesi, come Benjamin Ingham, e, successivamente, il nipote John Whitaker, decisero di investire in questa produzione, ammodernando le tecniche e ampliando le esportazioni anche fuori dall’Europa.

Nel 1833 fra i produttori comparve finalmente anche il nome di un italiano, Vincenzo Florio.

Fu esponente di una ricca famiglia di industriali e armatori, i quali diedero forte impulso all’economia della città e le sue storiche cantine (www.duca.it/cantineflorio) furono per anni fornitori esclusivi dei Savoia; agli inizi del ‘900 a Marsala c’erano circa 40 aziende vinicole, e molte di esse sono ancora in attività.

Tra le più antiche ricordiamo anche quella di Don Diego Rallo del 1860 (www.cantinerallo.it) di Vito Curatolo Arini del 1875 (www.curatoloarini.com/it) e la Carlo Pellegrino del 1880 (www.carlopellegrino.it/wines).

Etichetta del Marsala Woodhouse (Fonte: www.ctrlmagazine.it)

Ma come si produce questo ‘speciale’ vino italiano?

E’ un vino liquoroso o ‘fortificato’, che oltre ad essere considerato uno tra i più rinomati vini da dessert al mondo, è ritenuto la prima DOC italiana, ottenuta nel 1969.

Innanzitutto i vitigni impiegati sono sia a bacca bianca (grillo, cataratto, inzolia e damaschino) che a bacca nera (pignatello[1], nero d’avola e nerello mascalese); con i primi si ottengono i Marsala Ambra e Oro, con i secondi quello Rubino.

Si parte dal vino base ottenuto da queste uve e, a seconda dello stile, si procede in modi diversi.

Per ‘rinforzarlo’ si aggiunge la mistella[2] che è un mosto d’uva mutizzato, cioè addizionato di acquavite e reso quindi infermentescibile, oppure mosto cotto (o concentrato).

Si qualifica poi come Fine, Superiore, Superiore Riserva, Vergine e/o Soleras, Vergine e/o Soleras Stravecchio o Vergine Riserva e/o Soleras Riserva.

Queste categorie definiscono soprattutto le modalità di maturazione e il tempo.

Infatti Il Marsala Fine prevede un tempo di maturazione minimo di dodici mesi, il Superiore almeno due anni, il Superiore Riserva almeno quattro, il Vergine o Soleras almeno cinque, il Vergine Riserva o Stravecchio almeno dieci anni.

Si definisce, inoltre, per la sua dolcezza: secco con zuccheri inferiori a 40 grammi per litro, semisecco fra 40 e 100 grammi, e dolce con zuccheri superiori a 100 grammi.

La piramide del Marsala (Fonte: www.imperatoreblog.it)

Il termine soleras si riferisce invece ad una modalità di invecchiamento degli alcolici, un sistema che all’epoca era già usato per la produzione degli altri vini liquorosi europei.

Consiste nel maturare il vino in botti sovrapposte per un totale di cinque diversi ‘strati’, che vengono chiamati ‘criaderas’.

Il vino nuovo viene messo nelle botti poste più in alto, dopo aver trasferito parte del loro contenuto (il vino dell’anno precedente) nelle botti sottostanti;

ogni anno, un terzo del contenuto di ciascun contenitore viene travasato nel contenitore sottostante fino a raggiungere la fila di botti situate alla base della piramide, detta appunto solera.

Il contenuto di quest’ultima è quello destinato all’imbottigliamento.

Il vino Perpetuum veniva prodotto proprio con un metodo analogo.

Sistema di invecchiamento soleras (Fonte: www.viniepercorsipiemontesi.com)

Il Marsala, nelle sue varie versioni, conquista con i suoi splendidi colori, nuance che variano dal giallo ambrato al dorato intenso, fino al rosso rubino e all’aranciato, con i suoi profumi persistenti, che possono andare dai fiori appassiti, alle confetture di marasche, dal legno alla frutta secca, dal tabacco alla liquirizia.

In bocca può essere secco o dolce, ma caldo, intenso, aromatico, ricco e corposo.

Un vino che sin da giovane manifesta le sue peculiarità, ma che acquista vigore negli anni.

Tutto da sorseggiare ed abbinare con formaggi erborinati come il gorgonzola, pasticceria secca o un buon cioccolato.

Il Marsala in invecchiamento (Fonte: masterluxuryfashionmanagement.wordpress.com)

 

[1] Chiamato anche perricone.
[2] O sifone.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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