Uve antiche, alcune poco conosciute ma dalle peculiari caratteristiche: ecco 7 vitigni autoctoni calabresi da conoscere assolutamente
-
Gaglioppo
Non possiamo non iniziare questo excursus parlando del re della viticoltura calabrese, il vitigno autoctono a bacca nera simbolo della regione: il famoso gaglioppo.
Il gaglioppo è un’uva dalle origini antichissime, da sempre diffusa sulla costa adriatica e poi ionica; è alla base del vino DOC che si produce nell’area di Cirò in provincia di Crotone.
Il nome deriva quasi sicuramente dal greco e significa ‘bellissimo piede’ (kalos e podos), ovvero ‘bellissimo grappolo’.
Il gaglioppo per le sue caratteristiche varietali regala un vino rosso rubino dalle sfumature mattonate.
Nel contempo, però, è un vino di grande carattere e struttura e dal grande potenziale evolutivo;
ha un gusto pieno e ricco che col tempo ammorbidisce la sua componente tannica lasciando spazio a note più avvolgenti.
Per saperne di più sul gaglioppo e sul Cirò DOC leggi qui: →Vini Rossi d’Italia: il Cirò DOC
-
Greco di Bianco
Mario Soldati scriveva: “Il Greco di Bianco fa 16 gradi. Vitigno: greco. Colore giallo dorato intenso. Profumo quasi amarognolo, come di zàgara, cioè fior d’arancio. Gusto dolce, ma non troppo dolce”.
Il Greco di Bianco DOC è un vino passito che si ottiene dall’omonimo vitigno a bacca bianca; è un’uva assai antica e rappresenta le radici enologiche della Calabria.
La tradizione vuole che abbia origine da un tralcio di vite portato dai coloni greci sbarcati nell’VIII secolo a.C. presso Capo Zefirio (oggi identificato in Capo Bruzzano), nella Locride.
Diffuso lungo la costa ionica detta ‘dei gelsomini’, prende il nome dal comune di Bianco (RC), un piccolo fazzoletto di terra vicino l’antica Locri Epizefiri.
Qui, dopo secoli di storia, quest’uva continua ad essere coltivata e vinificata come un tempo; la sua tecnica di vinificazione è stata descritta nel VII secolo a.C. da Esiodo ne Le Opere e i Giorni.
Per saperne di più sul greco di Bianco e sul vino che con esso si produce leggi qui: →Un vino, un vitigno: il Greco di Bianco e anche →Il greco di Bianco e le malvasie del Mediterraneo
-
Guarnaccia
Fra i suoi vitigni autoctoni la Calabria enologica ci regala un’altra uva a bacca bianca, diffusa da secoli tra i comuni di Verbicaro, Altomonte e Saracena (Cosenza), nella parte più a sud del Parco Nazionale del Pollino: la guarnaccia.
Assieme a malvasia, duraca e moscatello, la guarnaccia è utilizzata per la produzione del Moscato al governo di Saracena, particolarissimo ed unico vino passito tutto made in Calabria.
→LEGGI ANCHE IL POST SUL MOSCATO DI SARACENA
→LEGGI ANCHE IL POST SU SARACENA
Il nome fa pensare ad una provenienza spagnola (come la garnacha a bacca rossa conosciuta in Italia con molti nomi, il più noto dei quali è cannonau).
La guarnaccia bianca è diffusa anche in Campania (principalmente sull’isola di Ischia e nella provincia di Napoli) e nel Lazio;
non si hanno notizie storiche certe sulla sua provenienza ma si pensa che l’origine sia ellenica, giunta anch’essa durante l’epoca della colonizzazione greca.
Per saperne di più sulla guarnaccia leggi qui: →La guarnaccia bianca del Pollino
-
Magliocco
In Calabria c’è una cultivar a bacca nera che spicca nel panorama ampelografico della regione: si tratta del magliocco dolce.
Presente anche in alcune zone della Lucania, ha la particolarità di essere conosciuto con molti altri nomi: dalla guarnaccia all’arvino, dal merigallo a lacrima o lagrima, fino a gaddrica, maglioccuni, marcigliana, mantonico nero o greco nero.
Nelle Terre di Cosenza il magliocco dolce ha la sua zona di elezione, dove è largamente diffuso e vinificato.
Il nome deriva anch’esso dal greco e significa ‘tenerissimo nodo’, datogli probabilmente perché presenta un grappolo chiuso come un nodo o un pugno.
Esiste anche un magliocco canino con cui non va confuso; nonostante l’affinità del nome, si mostra diverso sia per morfologia che per diffusione geografica.
Per saperne di più sul magliocco leggi qui: → Magliocco, l’autoctono sovrano delle Terre di Cosenza
-
Mantonico
Il mantonico è un importante vitigno autoctono a bacca bianca della Calabria; di quest’uva si narrano affascinanti storie legate alle sue radici enologiche, come per il greco di Bianco.
Si ritiene infatti che sia giunto con i primi coloni greci nel VII secolo a.C. o che sia stato addomesticato già nell’antica Enotria.
Il nome deriverebbe dal greco mantonikos, che significa ‘indovino’ o ‘profeta’, indicando che il vino ottenuto da quest’uva era utilizzato per scopi cerimoniali e propiziatori.
Il mantonico è stato a lungo confuso con altri vitigni come il trebbiano e il montonico bianco.
Questa varietà è largamente diffusa lungo la costa ionica della Calabria, in aree come Palizzi, Casignana, Locri e Monasterace ma anche nella fascia Crotonese, nella Valle del Neto e nel Marchesato.
Per saperne di più sul mantonico leggi qui: →Mantonico, il vino dei profeti
-
Pecorello
Il pecorello è un vitigno calabrese a bacca bianca non aromatico, poco conosciuto; è presente soprattutto nella provincia di Cosenza e in particolar modo a Rogliano, nella Valle del Savuto.
Citato nelle opere di alcuni autori ottocenteschi come Fera e Frojo[1], il pecorello in purezza regala un ottimo vino strutturato, anche se spesso si trova in assemblaggio ad altre uve.
Le sue peculiarità organolettiche sono i bei sentori floreali e fruttati e una spiccata acidità; un vitigno minore degno di nota che va sicuramente annoverato fra i tanti tesori enologici della Calabria.
Per saperne di più sul pecorello leggi qui: →Sulle strade del vino delle Terre di Cosenza
-
Zibibbo
Il moscato di Alessandria, più noto con il nome di zibibbo fa parte di quella grande famiglia di uve, a bacca bianca e rossa, associate dal nome moscato e presenti nell’area del Mediterraneo da tempi antichi.
In Calabria lo zibibbo ha trovato la sua zona d’elezione lungo quel tratto di costa tirrenica chiamata ‘Costa degli Dèi’ e in particolar modo a Pizzo (VV) dove è diventato Presidio Slow Food.
Le condizioni pedoclimatiche di questo territorio ne hanno favorito la coltivazione; fino alla seconda meta del ‘900 era principalmente un’uva da tavola.
Piccolissime quantità erano vinificate per essere poi bevute in famiglia; negli anni Sessanta del secolo scorso questo vitigno è andato in declino e i vigneti espiantati.
Solo ultimamente, grazie al lavoro di giovani viticoltori locali, lo zibibbo di Pizzo ha ripristinato il suo valore nel panorama ampelografico della regione esprimendo tutto il suo alto potenziale.
Per saperne di più sullo zibibbo di Pizzo leggi qui: →Lo zibibbo di Pizzo e anche →Lo zibibbo Benvenuto si fa Orange