Presso Villa il Gioiello alle porte di Firenze, Galileo visse in solitudine fino alla morte; qui si dedicò alla coltivazione della vite e alla produzione di vino: scopriamo come era fatta la sua cantina
Un testardo rivoluzionario a cui la scienza moderna deve moltissimo: Galileo Galilei fu un fisico, un astronomo, un filosofo, un matematico e un accademico italiano, passato alla storia per le sue teorie e scoperte.
Ma sapevate che Galileo era anche un piccolo viticoltore e amante del buon vino?
Negli ultimi anni di vita, dal 1631 al 1642, dopo il famoso processo per eresia, visse agli arresti domiciliari nella sua bella Villa il Gioiello presso Arcetri, alle porte di Firenze.
Qui trovò conforto e sollievo dalla solitudine della vecchiaia coltivando la vite e studiando idraulica; produceva il suo amato vino ed ogni tanto a fargli compagnia era la figlia Maria Celeste, monaca di clausura.
Oggi, attraverso lo studio delle fonti documentarie ed iconografiche da parte dell’Accademia dei Georgofili, i locali della cantina e della cucina della villa di Galileo sono stati ricostruiti così come dovevano essere fra la fine del XVI e i primi decenni del XVII secolo.
Si è scelto di non usare oggetti di antiquariato ma copie fatte ad hoc dagli artigiani, riprodotte grazie ad archivi di quadri, stampe e immagini di manufatti ed arredi dell’epoca.
Un percorso museale che valorizza la casa e che ci mostra dunque la passione che lo scienziato aveva per il vino.
Per Galileo era un nettare prezioso, “un composto di umore e di luce” e “la luce del sole tenuta insieme dall’acqua”.
Non è stato difficile per i ricercatori reperire informazioni utili e interessanti sulle tipologie di vini da lui consumati grazie ai suoi carteggi.
Dalle minuziose descrizioni della figlia sappiamo che produceva limitate quantità di vino dal piccolo podere annesso alla villa e che non sempre era buono[1].
Galileo apprezzava il vino di buona qualità e dalla Corte spesso gli venivano inviati botti e fiaschi provenienti dalle cantine del Granduca o dalle sue fattorie sparse per la Toscana.
Ma non mancavano i regali o i grossi acquisti: Suor Maria Celeste, ad esempio, parla dell’arrivo di dieci barili di vino da San Miniato al Tedesco, immagazzinati in due botti dalla capienza di 6 barili una e di 5 ½ l’altra.
Da un’altra missiva del 1634 sappiamo che Geri Bocchineri, segretario privato di Ferdinando II e suo amico, gli procurò
“cinque barili, bianco, rosso, ciliegiuolo, chiarello, claretto, bruschetto, piccante, dolce, e di qualunque altro colore o sapore, che V. S. desideri”[2].
Sempre dalla figlia sappiamo che la cantina di Galileo aveva almeno tre botti e quattro barili di diversa capienza provenienti dal monastero di San Matteo in Arcetri e il materiale che serviva a produrre il vino e a conservarlo.
C’erano fiaschi e piccoli barilotti da cui veniva ‘cavato’ con regolarità per berlo, un tino e anche ammostatoi, scale, bigonce, mastelli, ecc[3].
La capacità delle botti era misurata in barili ed era variabile: le misure erano quelle normalmente utilizzate in Toscana e usavano gli stessi nomi dei vasi vinari come era tradizione sin dal Medioevo[4].
Galileo amava e consumava vino di diversa tipologia “due e a quattro fiaschi per volta, or bianco, or rosso”[5] per evitare che si rovinasse stando nelle botti;
i biografi però affermano che lo bevesse in maniera equilibrata e quando lo produceva supervisionava personalmente le fasi della fermentazione.
Tramite il suo allievo Vincenzo Viviani sappiamo anche che Galileo sperimentava metodi di produzione, come ad esempio una rudimentale macerazione carbonica[6].
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Le pratiche enologiche e colturali si basavano su testi classici latini e medievali; queste si sono evolute dopo il ‘500.
Agli inizi del XVII secolo iniziarono a circolare opere come il Trattato della coltivazione delle viti di Giovan Vettorio Soderini, che fu uno dei primi esempi di manualistica agronomica dell’Italia moderna.
Nonostante ciò questi manuali non erano esaustivi; evidentemente tecniche quali i processi di fermentazione e il controllo della temperatura erano forse poco comprese.
Ma di questo periodo sappiamo con certezza che oltre alle uve cosiddette ’tradizionali’ iniziarono a circolare altri vitigni importati dalla Grecia e dalla Spagna come le uve sammartino, castigliane e palombina, o dall’Oriente come l’uva maraviglia, originaria, secondo Soderini, di Gerusalemme.
Ad Arcetri erano presenti e molto conosciute la verdèa bianca (o bergo bianco), la canajuola, il mammolo, il perugino e la colombana.
Della verdèa, in particolare, sappiamo che “fa il Vino dolce, di colore bianco, che partecipa di verdognolo, poco spiritoso, ma odoroso, grato gentile, e stimabile a beversi solo. Questa specie di Vino detta Verdèa si fa in più luoghi della Toscana, ma specialmente in Arcetri, ed è lodata dal Redi nel suo ditirambo e da Romolo Bertini nelle sue Poesie MS. ove dice elegantemente:
Versate, ormai versate
Anfore preziose in questi Vetri
Manna di Chianti, e Nettare d’Arcetri”[7].
Villa il Gioiello è un luogo speciale per la storia della scienza italiana e da qualche anno è stato dichiarato sito storico dalla Società Europea di Fisica (EPS).
Dopo Galileo ci sono stati astronomi come Giovan Battista Donati che vi stabilì l’Osservatorio, fisici come Enrico Fermi e ottici come Vasco Ronchi, fondatore dell’Istituto Nazionale di Ottica.
La villa di Galileo e la sua cantina sono visitabili tramite tour organizzati dal Sistema Museale di Ateneo (SMA) in collaborazione con il Colle di Galileo di Arcetri (www.msn.unifi.it)
Le visite si possono prenotare allo +39 055 2756444, da lunedì a venerdì dalle 09 alle 17, sabato dalle 09 alle 13 oppure scrivendo a edumsn@unifi.it.
Bibliografia e sitografia
Davide Fiorino, Daniele Vergari, Carlo Viviani, L’ipotesi ricostruttiva della cantina di Galileo Galilei a Villa il Gioiello