A Noicattaro, in Puglia, usi e costumi locali rendono particolarmente viva la cultura durante un importante periodo dell’anno: la suggestiva Settimana Santa nojana tra ritualità e preparazioni culinarie
Come l’antica Mesopotamia sorgeva fra il Tigri e l’Eufrate, il comune di Noicàttaro, nel sud est barese, si estende tra due lame (Lama San Giorgio e Lama Giotta), solchi erosivi poco profondi che convogliano le acque meteoriche e che dalle Murge raggiungono le coste adriatiche della provincia. Queste danno vita ad un patrimonio naturalistico fatto di fitti boschi di macchia mediterranea, dove crescono il leccio e diversi tipi di orchidee selvatiche.
Noicàttaro è un centro di origini antichissime: noto sin dal Medioevo come Noja, il suo nome odierno deriverebbe dalla fusione di Noha (“città nuova”) e Katry (un vicino villaggio abitato da profughi dalmati distrutto attorno all’anno Mille); anche qui gli influssi delle popolazioni straniere nel corso dei secoli ne hanno segnato indelebilmente le caratteristiche, da quelle architettoniche a quelle culturali. La Settimana Santa nojana è diventata una peculiarità del territorio per via dei riti celebrativi della Passione e Morte di Gesù Cristo che inizia nel tardo pomeriggio del Giovedì Santo e si conclude nella notte del Sabato con la Resurrezione.
Simbolo di queste festività pasquali sono i Crociferi[1]: figure emblematiche della Settimana Santa nojana, si vestono con un saio nero, un cappuccio che copre testa e volto, una corona di spine e una catena di ferro legata al piede e trascinano, scalzi, una croce. Il Giovedì Santo, all’uscita del Primo Crocifero[2], davanti al sagrato della Chiesa della Lama, viene predisposta una enorme catasta di legna, offerta votiva dei contadini delle campagne, che brucia durante tutta la notte della Passione. Probabilmente si rievoca il fuoco del Pretorio Romano, dove Pietro rinnegò il suo Signore. Il rituale continua nella serata del Venerdì Santo con la processione della Naka e della Madonna.
Una tradizione ormai consolidata quella della Settimana Santa nojana, che riprendendo pratiche medievali si manifesta soprattutto con i caratteri di quella spagnola (in cui si riscontrano grandi assonanze), che ogni anno si ripete sempre con molto coinvolgimento da parte della popolazione che vi partecipa numerosa, e che ad oggi, mantiene inalterata una devozione reale e un legame fortissimo, soprattutto fra i giovani, orgogliosi delle proprie radici. Tra sacro e profano, tra ritualità e folklore, spiccano sicuramente anche quelle tradizioni gastronomiche che in questi giorni riempiono di colori e profumi le vie del paese.
Molte sono le preparazioni culinarie della Settimana Santa nojana, tutte con un significato simbolico, strettamente legate ad un territorio fatto di prodotti e materie prime di qualità, che restano ancorate ad una memoria storica, come si percepisce dalle parole di Rita Tagarelli, maestra di vita e custode di grandi saperi; nei suoi racconti del secolo scorso tutto il valore del tempo passato, l’importanza che queste festività hanno sempre rivestito per le famiglie di Noicàttaro, lo spirito di aggregazione e il senso di appartenenza ad una comunità.
Iniziamo la rassegna dei sapori della Settimana Santa nojana con il Benedetto (u B-n-ditt), pietanza immancabile nel loro pranzo pasquale. Ingrediente fondamentale in cucina, dopo la Quaresima sono le uova; questo piatto della tradizione, infatti, richiama fortemente il simbolismo religioso: la ricetta originale lo vuole a base di agnello, cotto in un gustoso contorno di finocchi e battuto d’uovo, anticamente spruzzato con acqua lustrale, benedetta prima della Resurrezione. Ma io l’ho assaggiato senza la carne, solo con i finocchi lessi, conditi con sugo di braciole e polpettine, assieme a salumi spezzettati, mozzarella e uova sode, il tutto fatto a strati e cotto al forno in una teglia di terracotta.
Altra bontà è u Calzeun d c-podd, il Calzone, ossia una pizza a base di cipolle soffritte, olive nere denocciolate e acciughe salate, che probabilmente richiama simbolicamente il pasto frugale degli Ebrei prima dell’esodo a base di erbe amare e pane azzimo. Le cipolle sono un prodotto locale immancabile (famose sono quelle rosse di Acquaviva delle Fonti, un comune vicino): come racconta sempre Rita, in passato le strade erano invase da questo odore fortissimo di sp-nz-l senza tadd, ossia cipolle senza bulbo, novelle, portate nei primi giorni della Settimana Santa da carretti a due ruote che animavano l’attività dei forni a legna che sfornavano teglie e teglie di pizza. Oggi questa pietanza è preparata e consumata in tutte le case di Noicàttaro la sera del Giovedì Santo, e la si trova sia nei panifici che nelle tavole calde.
Altro particolare (forse anche unico) della gastronomia della Settimana Santa nojana sono le uova rosse: queste venivano colorate con u rei-t (il rito), un’alga rossa proveniente dai fondali di Torre a Mare che, purtroppo, non cresce più per il forte inquinamento. Era molto profumata, e in bollitura dava loro un bellissimo color rosso pompeiano oltre ad un buon sapore di mare. In passato si usavano nel gioco du tozza tozz: si facevano “tozzare” le uova cercando di rompere il guscio di quelle dei commensali e quello più resistente vinceva. Anche queste fanno parte di quella cultura del cibo legata alla Resurrezione attraverso “il rito” della colorazione rossa, ed oggi sono comunque presenti sulle tavole per tradizione e come simbolo beneagurante.
Una vecchia filastrocca nojana recita:
Pasqua vie-nk-rrenn
ca i uagnisk vonn chiangenn.
Vonn chiangenn k tutt u caor:
scarced-k-iao-v! Scarced-k-iao-v!
(Pasqua viene correndo, perché i bambini stanno piangendo. Stanno piangendo con tutto il cuore: scarcella con le uova! Scarcella con le uova!) La scarcella (a scarcedd) è uno dei dolci tipici della Settimana Santa nojana. E’ fatto di pastafrolla, molto semplice, che veniva regalato ai bambini. Si faceva a forma di cavalluccio per i maschi e di bambola per le femmine, decorati da confettini colorati (anisini) e dalle immancabili uova sode, e prima che i bimbi la mangiassero veniva benedetta il giorno di Pasqua. Sempre con le uova si preparano i Biscotti al ‘gileppo’ (e Vscott-r Sc-l-pp-t), che hanno la forma di grossi anelli cosparsi con questa glassa bianca fatta di zucchero, albume e limone.
Anche fuori dalla Settimana Santa sono sempre presenti moltissime prelibatezze, dai deliziosi taralli artigianali, alla pasta fresca, focacce ripiene e panzerotti, formaggi, mozzarelle, ricotte e verdure. Da ricordare infine è che Noicattàro viene definito nel sud est barese capitale dell’uva: diventato comune autonomo dopo l’Unità d’Italia, l’economia nojana si incentrò sull’agricoltura. Nei primi decenni del Novecento furono realizzati i primi impianti di vite a tendone per la produzione di uva da tavola, che è poi diventata la maggiore risorsa cittadina, in continua evoluzione per via delle ricerche tecnologiche e genetiche sui vitigni; i terreni sciolti e sassosi e le particolari condizioni pedoclimatiche della zona hanno consentito questo sviluppo, e le varietà più coltivate sono l’uva “Italia” e la “Regina”.
Dopo Pasqua c’è Pasquetta. Quella nojana si celebra, come in altri pochissimi comuni italiani, il martedì e non il lunedì. Tradizionalmente le famiglie si ritrovano in campagna per consumare gli avanzi dei pasti pasquali. Fulcro della giornata non è solo la convivialità, ma il riunirsi attorno alla chiesetta bianca immersa nel verde dell’Incoronata (‘A N-grnt), che si trova a circa tre km da Noicàttaro, sulla vecchia via che conduce a Torre a Mare (l’antica marina di Noja). Solo il martedì di Pasquetta qui si celebra l’Eucarestia, officiata da un padre domenicano proveniente dalla Basilica di San Nicola di Bari
Dalla Settimana Santa nojana, ormai passata, è tutto. Non vi resta che visitare questo splendido comune e lasciarvi conquistare dalle sue atmosfere suggestive e dal gusto dei suoi prodotti genuini.
Bibliografia
Rita Tagarelli, La Settimana Santa nella tradizione popolare nojana
L’uva da tavola in provincia Bari, Manni Editore