Savuto non è solo un fiume: dalla valle disegnata col suo corso, nasce un ottimo vino che affonda le sue radici in una storia lontana e in una natura affascinante immersa nella macchia mediterranea
Mario Soldati alla fine degli anni ’60 così scriveva: “Il Savuto è il vino più celebrato della provincia di Cosenza, e sta a Cosenza come il Barolo a Cuneo – mentre il Cirò sta a Catanzaro come il Barbera a Asti.
Il Savuto prende il nome dalla valle del fiume Savuto che si getta nel mar Tirreno a sud di Cosenza a Nocera Terinese. Ma, naturalmente le vigne sono coltivate più in alto, a più di 500 metri, tra Marzi e Rogliano, sulla destra del fiume”[1].
Anche Luigi Veronelli su I Vini d’Italia dice: “Savuto. Adatto all’invecchiamento. Colore rosso rubino piuttosto carico che con l’invecchiamento assume riflessi granato arancione.
Caratteristico lieve profumo. Sapore asciutto, lievemente vellutato, caldo generoso. E’ vino superiore da pasto, se bene invecchiato, da arrosti di carne bianca e rossa.
Servirlo a temperatura ambiente. E’ prodotto sulla sponda destra del fiume Savuto in provincia di Cosenza, particolarmente a Marzi e a Rogliano”.
Ci troviamo in quest’angolo di Calabria, un luogo in cui la natura prorompente fa da padrona, dove tra boschi e borghi si snoda lento il Savuto, il fiume che dà il nome alla vallata: esso nasce da un altopiano granitico nel comune di Aprigliano (Cs), in località Spineto, e scorre disegnando curve tra monti e colline verdeggianti.
Alcuni lo hanno identificato con il mitico fiume Okinaros (Ὠκίναρος, “che scorre velocemente”), chiamato poi dai Romani Sabbatum[2] (o Sabbatium), e che molta storia ha visto passare sotto gli antichissimi ponti su di esso costruiti[3].
Il nome Savuto potrebbe derivare dal verbo greco σαβἀζω εΰαζω[4] legato a Sabazio (il Sabatius latino), divinità traco-frigia della vegetazione e particolarmente dell’orzo e del grano, da cui i suoi fedeli traevano una bevanda inebriante.
Il suo culto è di tipo orgiastico pari a quello dell’affine Dioniso con il quale venne poi confuso; dall’originaria Tracia il suo culto penetrò in Frigia e da lì si diffuse nelle regioni circostanti e in Grecia. A Roma il suo culto venne espulso durante l’età imperiale[5].
Tutta la Calabria è nota da tempi antichissimi per i suoi vini pregiati; questa zona, in particolare, era diversa dalle altre zone vitate della regione, dove i vigneti costeggiano quasi sempre il mare:
nella valle del Savuto questi si inerpicano sulle pendici dei monti, regalando da secoli un ottimo vino e ancora oggi il sistema di allevamento più utilizzato è quello ad alberello, praticato anche dai Brettii[6] nel III secolo a.C.
Le vigne si trovano a diverse altitudini e sono disposte a terrazze degradanti verso il fondovalle, costruite e sostenute con muretti in blocchi pietra, tanto che a Rogliano il vino era conosciuto proprio con il nome di “Succo di Pietra”.
La produzione del Savuto, dopo lunghi periodi di sconvolgimenti del territorio che ne hanno decimato le coltivazioni, si è stabilizzata a partire dal XV secolo e nel 1933 fu premiato alla prima Mostra mercato dei vini tipici d’Italia, a dimostrazione della qualità del prodotto.
Le uve autoctone del Savuto DOC (rosso e bianco) sono arvino (o Magliocco dolce), magliocco canino, greco nero, nerello cappuccio, mantonico, malvasia bianca e pecorello, e il disciplinare di produzione ricade nei paesi lungo la valle del Savuto della provincia di Cosenza fino alle colline litoranee tirreniche al confine con la provincia di Catanzaro.
Sempre in Vino al vino, Soldati descrive come il parroco di Rogliano dell’epoca, Don Alberto Monti, consideri il vero Savuto solo il “Britto”:
“Nessuno è Savuto, Savuto è solo il Britto. […] Britto vuol dire bruciato. E Britto è questo che io vi porto”[7].
Questo vino che nasce nell’omonima località nel comune di Marzi, è proprio l’etichetta di punta dell’azienda Colacino Wines, che segue una lunga tradizione di famiglia iniziata nel 1968 dal dott. Vittorio, medico condotto e vignaiolo per vocazione, la cui attività è oggi portata avanti dai figli.
I vigneti di proprietà dei Colacino si estendono per circa 20 ettari, in uno spicchio di terra a 500 metri di altitudine, terrazzati con pietra di fiume e che godono dell’ottima escursione termica tra giorno e notte.
Altra cantina che produce un Savuto DOC Classico ed uno Superiore è Antiche Vigne, a Rogliano: nata nel 2004, i suoi vigneti sono ubicati tra i vicini comuni di Marzi, Altilia e Carpanzano e si estendono per circa 14 ettari dai 500 agli 800 metri s.l.m.
Altre espressioni del Savuto DOC sono inoltre quelle prodotte nei comuni del catanzarese dalla Cantina Odoardi di Nocera Terinese e dall’azienda Le Moire di Motta Santa Lucia, che nascono da vigneti posti fra i 400 ai 600 s.l.m. su terreni degradanti verso il fiume o che si affacciano sul mar Tirreno, circondati da boschi incontaminati.
Il Savuto rosso è un vino che possiede fieri caratteri distintivi di questa terra, ma è anche eclettico e secondo la zona di provenienza mostra diverse potenzialità nei confronti dell’evoluzione: è deciso, al naso di un fruttato intenso con note di prugne, susine e marasche, dai toni erbacei di sottobosco e delicatamente speziato; al gusto è persistente e la sua tannicità è supportata da una buona morbidezza e freschezza che lo rendono adatto a formaggi stagionati, a carni, selvaggina e soprattutto a succulenti arrosti.
Bibliografia e sitografia
Mario Soldati, Vino al vino. Alla ricerca dei vini genuini, Oscar Mondadori 2011