Dalle rive del Mar Ionio ai monti della Sila tra storia, natura arte e buona cucina: ecco alcune specialità da ricercare in quella parte di Calabria chiamata ‘Greca’
Passando dal blu dell’acqua al verde dei boschi, la Sila Greca conquista tutti i visitatori coi suoi colori e panorami mozzafiato.
Sono 14 i comuni della provincia di Cosenza che ne fanno parte e quello custodito nella Sila Greca è un patrimonio da conoscere e salvaguardare.
Ribattezzate Terre Jonico-Silane, quest’area si estende da Cariati a Rossano sulla costa e all’interno fino a Campana, Bocchigliero e Longobucco, ai margini del Parco Nazionale della Sila.
Si chiama Sila ‘Greca’ perché risente dell’influenza della vicina Sibaritide; ovunque sono ancora chiare e visibili le tracce lasciate dalle antiche civiltà che l’hanno abitata come gli Enotri e gli affascinanti Bretti.
Di questi ultimi, ad esempio, è possibile ammirare i resti delle città fortificate di Castiglione di Paludi, o quelli di Cozzo Cerasello a Caloveto, di Prujia di Terravecchia o le cosiddette ‘Muraglie di Annibale’ a Pietrapaola.
Anche i bizantini hanno segnato la Sila Greca con il loro passaggio; perfetta testimonianza ne è Rossano, la città del Codex Purpureus e di gioielli architettonici come la chiesa di San Marco o del Patire (Patyrion).
È una terra di contadini e di pastori, di tradizioni ed ospitalità, autentica in tutte le sue sfaccettature; qui si respira l’aria di una volta che il tempo non ha cancellato.
Spostandoci tra le bellezze della Sila Greca è possibile immergersi totalmente nella sua natura lussureggiante, nei suoi antichi borghi, nei suoi profumi e sapori.
Tra passato e presente, questi luoghi offrono diversi spunti per un viaggio all’insegna della cultura e dell’enogastronomia; molte sono le specialità, alcune rare e difficili da trovare, che meritano un assaggio.
La cucina nella Sila Greca è genuina; si basa su ingredienti semplici ma con gusti forti e decisi, eredità dei popoli che si sono succeduti nei secoli.
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Alla base dell’economia di queste zone c’è, come del resto in Calabria, l’agricoltura e la coltivazione dell’ulivo e della vite; i comuni montani sono famosi poi soprattutto per le conserve di carne di maiale.
Dalle salsicce alle soppressate, dalla pancetta al guanciale, dalle ‘frittole’ (cotiche e grasso) al ‘suzu’ (gelatina di testa e zampe) arriviamo al famoso, quanto introvabile, Sacchetto.
Si tratta di uno zampone calabrese tipico del comune di Longobucco e dintorni; si fa con la cotenna del maiale ripiena di carne e poi ricucita; cotto nel grasso delle frittole, viene poi conservato nello stesso.
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Siccome del maiale non si spreca proprio nulla, con la carne di scarto e le frattaglie si fa la ‘nnuglia o ‘nnugghia[1], una salsiccia meno pregiata ma che molti in Sila Greca ancora realizzano.
Da non confondere con la più rinomata e nobile nduja, questo insaccato si trova anche col nome di finnicula, stroscia o agliata, inserita tra i P.A.T. (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) della Regione Calabria.
Frutto della pastorizia sono poi i buonissimi formaggi locali, dal caciocavallo alla ricotta (fresca o salata), dal pecorino alla giuncata fino al butirro.
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Nelle Terre Jonico-Silane non manca il pesce.
Dai paesi di mare come Cariati, ad esempio, arriva la sardella definita ‘il caviale calabrese’, conserva ittica piccante preziosa e di lontana origine con cui si fanno le buonissime pitte.
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Il pesce è soprattutto quello azzurro tra cui le alici, che oltre ad essere mangiate fresche ‘scattiate’ con olio, aglio, aceto e peperoncino, vengono messe sotto sale con il pepe (pisci salati).
Stesso procedimento anche per le sarde, salate e cosparse di pepe rosso; i contenitori tradizionali per questo tipo di conserve sono i tarsaluri (vasi di terracotta smaltata di varia grandezza).
Nei tarsaluri si mettono sotto sale anche i pomodori verdi tagliati a fette assieme a peperoni e olive e finocchietto selvatico che si mangiano così oppure si soffriggono.
Passando alla pasta, rigorosamente fatta a mano, i ‘maccarruni a ferretto’ (firriattu o firretto) sono il must in Sila Greca; si cucinano col sugo semplice o di carne (maiale, capra, pecora o anche cu ra finnicula).
Ci sono poi le tagliatelle, i ‘tagghiarini’, che si gustano con i legumi, specialmente con i fagioli o i ceci.
In Sila Greca pochi ormai fanno il tipico ranu rattatu, una sorta di polenta di grano che viene ‘grattato’, cotto e condito con sugo di capra, di salsiccia o anche cinghiale.
A base di tanto aglio e peperoni secchi è l’agliata, preparazione contadina che ho scovato nelle ricette di Campana; qui li chiamano pimmacorne russe siccate ccu l’aglju.
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Immancabile anche nelle Terre Jonico-Silane la cultura dei lievitati; a Pietrapaola prima di infornare il pane si fa la strazzata, un pezzo di impasto ‘strappato’ e messo in forno per verificarne la temperatura.
La strazzata si gonfia e diventa una sorta di panino che si mangia condito semplicemente con olio extravergine d’oliva o con la sardella piccante.
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Tra freselle e taralli spicca per bontà la pitta cu u maju, una focaccia che ha nell’impasto i fiori di sambuco essiccati oppure sott’olio; saporita e profumata è una preparazione diffusa un po’ dappertutto nella Sila Greca.
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Arriviamo ai dolci: qui ci sarebbe da elencarne tanti ma mi soffermo su quelli più particolari; iniziamo con i Manicotti di Mandatoriccio che nel 2021 sono diventati De.Co (Denominazione Comunale).
Sono realizzati tradizionalmente in occasione del Natale ma oggi si fanno anche per festeggiare matrimoni o altri eventi; un impasto di farina, lievito madre, acqua, olio, uova, vermuth (o vino dolce) cannella e chiodi di garofano.
I Manicotti si chiamano così perché vengono avvolti nelle mani e poi fritti magistralmente per non far perdere loro la forma, e una volta pronti e scolati si passano nello zucchero e nella cannella. Una vera chicca.
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Altra semplice bontà della Sila Greca sono gli squaratielli o fritti a vento: si tratta di piccole ciambelline fatte solo con acqua, olio e farina che dopo la frittura si mangiano cosparse di zucchero o col mosto cotto.
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Dolce pasquale il buccellato è un antico pane rituale a forma di ciambella, ripieno di frutta secca e aromatizzato con anice, cannella e chiodi di garofano.
A Mandatoriccio lo chiamano mucciallato, cullura a Campana, picellato a Scala Coeli.
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A fine pasto non può mancare un buon digestivo e il liquore di piretta è quello che ci serve.
Si fa con un agrume dolce chiamato dialettalmente piretta (o piretto) ovvero la limetta, altro vanto della biodiversità calabrese.
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Nota nel territorio delle Terre Jonico-Silane è una grappa artigianale particolarmente forte, chiamata ironicamente “Acqua di Macrocioli” e prodotta a Longobucco, in riferimento al torrente che lì scorre.