Vino

Pallagrello bianco, pallagrello nero e casavecchia, i tesori enologici di Tenuta Campagnano

Casavecchia Tenuta Campagnano

Dalla provincia di Caserta il pallagrello bianco, il pallagrello nero e il casavecchia, le pregiate uve autoctone campane protagoniste dei vini di Tenuta Campagnano

Il nome ‘pallagrello’ sembrerebbe derivare dal pagliarello, ovvero il graticcio di paglia dove per tradizione l’uva era posta ad appassire.

Secondo altri invece si rifarebbe al termine dialettale ‘pallarell’ (con il quale si usa chiamare localmente il pallagrello) per via dell’acino, piccolo e tondo come una pallina.

In passato il pallagrello bianco era considerato sinonimo del coda di volpe bianca: l’errore nasceva dal fatto che entrambi presentano un grappolo che ricorda proprio la forma della coda di una volpe.

Pallagrello bianco uva
Le uve di pallagrello bianco (Fonte: slowfood.it)

Questo ha fatto sì che i contadini li associassero ad un’unica varietà chiamata anche pallarella, pallagrella bianca o piedimonte bianco (dal comune casertano di Piedimonte Matese).

L’autentico pallagrello bianco è coltivato invece in un’area della Campania molto ristretta, tra Piedimonte e Alife nell’alto casertano.

Nel XVIII secolo Ferdinando IV di Borbone, re delle Due Sicilie, amò così tanto quest’uva autoctona che la inserì nella famosa Vigna del Ventaglio di San Leucio di Caserta[1] assieme al pallagrello nero.

Per il re, che le chiamava piedimonte bianco e piedimonte rosso, queste erano le uniche due varietà campane degne di figurare in questo splendido vigneto a semicerchio con dieci raggi, uno per ogni vitigno del Regno.

Anche il pallagrello nero fu associato al coda di volpe nera per via del suo grappolo; dagli inizi del ‘900 queste due varietà subirono un inesorabile declino.

Il loro rilancio è avvenuto grazie ad alcuni neoviticoltori, in particolare ad un avvocato, Beppe Mancini; oggi queste cultivar sono state definitivamente iscritte al Registro Nazionale delle Varietà di Vite.

Le aree vocate alla coltivazione del pallagrello bianco e del pallagrello nero[2] restano però limitate a pochi comuni a nord-est di Caserta, tra Castel Campagnano, Caiazzo, Castel di Sasso, Alife e Alvignano.

Pallagrello nero uva
Le uve di pallagrello nero (Fonte: slowfood.it)

I vini che nascono da queste uve sono molto identitari e qualitativamente eccezionali; nel comune di Castel Campagnano a dare valore a questi prodotti c’è tra le altre Tenuta Campagnano.

La famiglia Campagnano è una delle più antiche del posto; qui coltiva da sempre l’ulivo e la vite.

Generazione dopo generazione l’azienda ha modernizzato e potenziato i sistemi agricoli di allevamento e di trasformazione, rimanendo però sempre fedeli alla tradizione e all’artigianalità trasmessa di padre in figlio.

I 5 ettari di terreno vitato di Tenuta Campagnano si estendono tra le colline e le montagne del Taburno; sottoposte ad una buona ventilazione, le uve maturano all’asciutto conferendo ai vini ottime qualità.

Negli uliveti regnano la caiazzana e l’ortice mentre tra i filari spiccano proprio il pallagrello bianco, il pallagrello nero e un’altra ottima uva a bacca nera, il casavecchia.

Il casavecchia è un vitigno autoctono campano pressoché sconosciuto e misterioso[3], ma già presente in tutte le vecchie vigne all’origine di Tenuta Campagnano.

Casavecchia uva
Le uve di casavecchia

La sua coltivazione è stata ripresa agli inizi del ‘900 e si è diffusa rapidamente nei territori di Pontelatone, Formicola, Castel di Sasso, Piana di Monte Verna, Caiazzo, Ruviano e Castel Campagnano.

Secondo la leggenda narrata dai contadini locali un ceppo di oltre 100 anni sfuggito all’oidio e alla fillossera fu rinvenuto alla fine dell’800 nei pressi di una casa diroccata a nord di Pontelatone (da qui ‘casa-vecchia’).

Il casavecchia si trasmise di generazione in generazione tra i viticoltori della zona. Le recenti analisi del DNA escludono che sia un clone di un altro vitigno o che possa essere imparentato con altre varietà campane.

L’ipotesi più probabile rimane quella dell’origine casuale da seme, anche se lo stretto legame tra il casavecchia e il suo territorio farebbero propendere per un’origine ben più remota.

L’antica località romana di Trebula Baliniensis (o Balliensis) attuale Treglia di Pontelatone, si troverebbe all’interno del territorio di produzione del casavecchia.

Qualcuno, dunque, vorrebbe che il vino prodotto con il casavecchia altro non sia che il Trebulanum, vino italico molto pregiato elogiato da Plinio il Vecchio.

I vini di Tenuta Campagnano racchiudono la storia di questi luoghi e la conservano; i suoi Pallagrello Bianco, Pallagrello Nero e Casavecchia riportano la firma di Raffaele Campagnano che oggi si occupa dell’azienda.

Il Pallagrello Bianco Terre del Volturno IGT è un giallo paglierino dorato, profuma di fiori e frutta; ha una bella morbidezza bilanciata da una discreta freschezza ed è un compagno ideale per gli aperitivi.

Pallagrello Bianco Tenuta Campagnano
Il Pallagrello Bianco di Tenuta Campagnano

Il Pallagrello Nero Terre del Volturno IGT, vino che in epoca borbonica compariva sulle mense reali assieme allo Champagne, è un rosso porpora, vigoroso ma avvolgente con tannini presenti ma eleganti, dagli intensi profumi di frutti rossi.

Pallagrello Nero Tenuta Campagnano
Il Pallagrello Nero di Tenuta Campagnano

Il Casavecchia Terre del Volturno IGT, infine, è un rosso rubino con sfumature granata dai sentori di frutta a bacca rossa e speziature; ha tannini morbidi e una buona persistenza che accompagnano primi strutturati, carne rossa e cacciagione.

Casavecchia Tenuta Campagnano
Il Casavecchia di Tenuta Campagnano

Tenuta Campagnano

Via Castagneto, 15 – Castel Campagnano (CE)

Cell. 327 7584581

 

Bibliografia

Guida ai vitigni d’Italia. Storia e caratteristiche di 600 varietà autoctone, Slow Food Editore.

 

[1] La Vigna a Ventaglio era un vigneto modello, voluto dal re Ferdinando IV di Borbone nella seconda metà del Settecento, sul territorio collinare di San Leucio, luogo già famoso poiché vi fu costruito, nello stesso arco temporale, il grande opificio serico.  Il sovrano, appassionato di botanica ed agronomia decise di sfruttare la morfologia del terreno per dar forma ad un grande vigneto dalla forma singolare di un ventaglio, composto da dieci grandi spicchi. In ciascuno di essi venivano coltivate altrettante tipologie di uve che avevano lo scopo di promuovere e valorizzare le migliori varietà di vite coltivate nel Regno delle due Sicilie. Ogni spicchio era accompagnato dalla presenza di una grande lapide di travertino, in cui veniva descritta la tipologia e la varietà del vino. Collaboratore e creatore di tale progetto fu il grandissimo Luigi Vanvitelli, già architetto alla Reggia di Caserta e collaboratore fidato dei Borbone.  La vigna produceva esclusivi ed eccellenti vini, con una produzione di circa 80 barili ogni anno. Tra essi si distinguevano il piedimonte rosso e quello bianco, il procopio, il delfino bianco ed il siracusa rosso. Come celebrazione di tale progetto, Ferdinando decise di far affrescare la volta della sala da pranzo degli appartamenti reali di San Leucio con un bellissimo affresco che celebrava le nozze di Bacco ed Arianna, chiaro riferimento alla produzione Borbonica della Vigna del Ventaglio (Fonte: www.tour-campania.com).
[2] In passato la coltivazione del pallagrello nero era accertata, oltre che lungo il fiume Volturno, in buona parte della Campania, nei pressi di Venafro (nel vicino Molise) e più raramente in Calabria (Guida ai vitigni d’Italia, pag. 346)
[3] Giuseppe Frojo, l’ampelografo campano più noto dell’Ottocento, catalogò e descrisse ben 129 vitigni della sola Terra di Lavoro senza fare accenno al casavecchia; d’altro canto, prima di lui nessun altro studioso aveva citato questa varietà (Guida ai vitigni d’Italia, pag. 119).
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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