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Fagioli di Calabria: il Poverello Bianco, la ‘Posa’ di Cortale e la ‘Sujaca’ di Caria

Fagiolo Poverello bianco del Pollino

Biodiversità e legumi: in Calabria le tipologie di fagioli coltivate da nord a sud sono tante e tra queste spiccano il Poverello Bianco (Cs), la ‘Posa’ di Cortale (Cz) e la ‘Sujaca’ di Caria (VV)

Il fagiolo comune (Phaseolus vulgaris) è una pianta annuale a portamento rampicante appartenente alla famiglia delle leguminose (o Fabaceae).

Il fagiolo è fonte di proteine, fibre, ferro e vitamine, ha proprietà ipoglicemizzanti, depurative, diuretiche, ipocolesterolemizzanti ed anti-tumorali; la pasta e fagioli è un must della nostra dieta mediterranea.

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Sono stati effettuati diversi studi genetici per individuarne il luogo di origine; al contrario di come si possa immaginare vista la sua grande diffusione nel bacino del Mediterraneo, il fagiolo proviene dal Messico.

Dall’America Centrale venne importato in Europa dai Conquistadores tra il XV e il XVII secolo, dove si adattò soppiantando la specie autoctona più antica, la Vigna unguiculata o meglio il fagiolo dall’occhio[1].

Dalla scoperta dell’America in poi sono nate numerosissime varietà orticole, circa 14.000; in Calabria i fagioli sono da sempre ingredienti base di piatti della cucina contadina, semplice e saporita.

Da nord a sud la ricca biodiversità della regione offre diversi ecotipi di fagioli e alcuni di questi per le loro caratteristiche di eccellenza si sono aggiudicati un posto d’onore in ambito gastronomico.

Sono il fagiolo Poverello Bianco, la Posa’ di Cortale e la ‘Sujaca’ di Caria. Conosciamoli assieme.

Il Poverello Bianco

Coltivato a Mormanno, Laino Borgo e Laino Castello nel Parco Nazionale del Pollino in provincia di Cosenza, il fagiolo Poverello o Poverello Bianco viene ancora oggi prodotto seguendo metodi tradizionali.

Per questa cultivar è stata istituita la De.Co., uno dei pochi casi in cui più comuni limitrofi riconoscono allo stesso prodotto questo riconoscimento e rientra fra i P.A.T. regionali.

Fagiolo Poverello bianco del Pollino
Il fagiolo Poverello Bianco del Pollino

E’ presente anche a Tortora ed Aieta (Cs) dove è detto ‘Poverello di Aieta’ e sul versante lucano del Pollino in provincia di Potenza. Qui i Fagioli Bianchi di Rotonda hanno ottenuto la DOP[2].

Si narra che il Poverello Bianco abbia conquistato Giuseppe Garibaldi: nel settembre del 1860, tornando dalla Sicilia, fermatosi a Rotonda gustò questi buonissimi fagioli decidendo di portarli con sé e seminarli nella sua amata Caprera.

Il Poverello è un fagiolo completamente bianco privo di screziature; in dialetto è conosciuto come ‘u fasulu povirieddu iangu e si caratterizza per il seme grosso e ovaleggiante con una bassa percentuale di tegumento.

Fagioli Poverello bianco
Fagioli Poverello bianco cotti

Rispetto ad altre tipologie di fagiolo, il Poverello Bianco presenta una notevole resistenza genetica alle principali malattie fungine che attaccano le leguminose e agli attacchi del ragnetto rosso.

Per quanto riguarda invece gli aspetti nutrizionali, il fagiolo Poverello Bianco possiede un elevato contenuto proteico come pure alti valori di proteine solforate, di cui le leguminose sono notoriamente carenti.

Oggi la tecnica di coltivazione del fagiolo Poverello Bianco consiste in operazioni in parte meccanizzate e in parte manuali (il terreno viene arato e successivamente lavorato con frangizolle a dischi, a molle o rotanti).

La semina viene effettuata entro i primi tredici giorni di giugno (generalmente per la festa di Sant’Antonio) e tradizionalmente è fatta nelle tipiche postarelle (fossette quadrate).

Ogni postarella ha un lato di circa 30-40 cm e in ciascuna si depongono per la semina da 5 a 8 semi, disposte a file e distanziate 60-80 cm una dall’altra e lungo la fila quasi contigue.

Nel disciplinare di produzione sono ammesse anche file binate di postarelle, cioè due file di postarelle distanziate 30-40 cm e ogni coppia di queste distanziate 80-100 cm.

La raccolta dei baccelli secchi avviene manualmente tra settembre ed ottobre in due o tre passaggi ma anche ad inizio novembre, in base alla loro maturazione e all’altitudine dei campi.

Dopo la raccolta i baccelli maturi si lasciano essiccare ancora per qualche giorno al sole e si procede alla separazione della granella (semi secchi) dal resto del baccello mediante la battitura.

Successivamente la granella viene ripulita da tutte le eventuali impurità.

A salvaguardare e valorizzare i prodotti agricoli identitari del Parco Nazionale del Pollino ci ha pensato la giovane cooperativa agricola Pollino Food Experience nata a Mormanno nel 2018.

Composta attualmente da sei soci si sta impegnando nel ripristino e nella promozione delle eccellenze del territorio partendo proprio dal Fagiolo Poverello Bianco.

Fagiolo Poverello bianco Pollino Food Experience
Il fagiolo Poverello Bianco di Pollino Food Experience

Lavorando minimamente i terreni nel totale rispetto della natura e sperimentandone le colture, la Pollino Food Experience produce grano, ortaggi e legumi.

Tra questi, oltre al Poverello Bianco, il fagiolo Marrozzo (detto il ‘poverello rosso’), il cece seccagno (che cresce senz’acqua) e la lenticchia di Mormanno.

Fagiolo Marrozzo Poverello rosso Pollino Food Experience
Il fagiolo Marrozzo detto ‘Poverello rosso‘ di Pollino Food Experience

Ha reimpiantato varietà di grano antiche come il carosella, il germanese (o jermano), la varietà tipo Senatore Cappelli e il farro integrale dicocco; da questi grani ricava la farina con cui confeziona anche pasta secca.

Lenticchia del Pollino varietà Itaca Pollino Food Experience
Lenticchia del Pollino varietà Itaca di Pollino Food Experience

Tra gli ortaggi peperoncini (varietà naso di cane, diavolicchio e ciliegino) e peperoni che verranno trasformati in zafarana (polvere) o cruschi.

Ha creato poi tra le case del borgo di Mormanno Rurà, una struttura turistico-alberghiera dove le bellezze del territorio vengono raccontate attraverso le produzioni a km 0 di Pollino Food Experience.

Prodotti Pollino Food Experience
I prodotti a km zero di Pollino Food Experience

Il Fagiolo Poverello Bianco ha una buccia sottile e una consistenza granulosa; è molto adatto per la preparazione di zuppe, minestroni, puree e in accompagnamento a piatti di pasta o anche nelle insalate.

Tagliatelle e fagioli Poverello bianco
Tagliatelle e fagioli Poverello bianco

In Calabria uno dei modi migliori per gustare i fagioli, e quindi anche il Poverello, è sicuramente ‘alla pignata’: i legumi vengono cotti molto lentamente in questa tipica pentola in terracotta posta accanto al fuoco.

La pignata ha forma panciuta ed è provvista di uno o due manici; questa cottura, che in passato avveniva soprattutto al camino, conferisce ai fagioli omogeneità, finezza ed un gusto unico, esaltando le loro peculiarità.

Fagioli alla pignata
I fagioli in cottura alla pignata

La ‘Posa’ di Cortale

Il comune di Cortale si trova su una collina che domina estese pianure e vallate nella parte più stretta della Calabria, l’istmo di Catanzaro, da dove si apre una magnifica vista sui due mari.

Per gli amanti della buona gastronomia Cortale è sicuramente una tappa da non perdere.

Zona vocata da sempre all’agricoltura grazie all’abbondanza di acqua, è nota per le sue varietà autoctone di fagiolo chiamato ‘cortalese’.

Anche ai Fagioli di Cortale è stata attribuita la Denominazione Comunale (De.Co.) e sono da poco diventati Presidio Slow Food.

L’area di produzione si estende non solo a Cortale ma anche ai vicini comuni di Jacurso, Maida e San Pietro a Maida, sempre in provincia di Catanzaro.

Dei Fagioli di Cortale ne esistono diversi ecotipi: sono la Reginella Bianca (detta ammalatèddha perché più soggetta a malattie) e la Reginella gialla (detta anche Cocò Gialla piccola);

La 'Posa' di Cortale, varietà fagiolo Reginella bianca
La Posa‘ di Cortale, varietà fagiolo Reginella bianca (Foto di Alberto Carpino – Responsabile regionale Presidi Slow Food Calabria)
La 'Posa' di Cortale, varietà fagiolo Reginella gialla
LaPosa‘ di Cortale, varietà fagiolo Reginella gialla (Foto di Alberto Carpino – Responsabile regionale Presidi Slow Food Calabria)

la Cannellina bianca (o Rognonella per la forma a rene, in dialetto rugnùni), la Cocò Gialla (detta limunìdu per il colore simile al limone) e la Cocò bianca.

La 'Posa' di Cortale, varietà fagiolo Cannellina bianca
La ‘Posa‘ di Cortale, varietà fagiolo Cannellina bianca (Foto di Alberto Carpino – Responsabile regionale Presidi Slow Food Calabria)
La 'Posa' di Cortale, varietà fagiolo Cocò gialla
La Posa‘ di Cortale, varietà fagiolo Cocò gialla (Foto di Alberto Carpino – Responsabile regionale Presidi Slow Food Calabria)
La 'Posa' di Cortale, varietà fagiolo Cocò bianca
La ‘Posa‘ di Cortale, varietà fagiolo Cocò bianca (Foto di Alberto Carpino – Responsabile regionale Presidi Slow Food Calabria)

Queste cultivar sono state selezionate nel corso degli anni dai contadini locali e tramandate di padre in figlio da generazioni.

Qui il fagiolo è declinato al femminile e la chiamano comunemente ‘posa’, forse quale trasformazione dialettale del latino Phaseolus.

Le qualità Reginella e Cannellina appartengono alla categoria dei fagioli bianchi italiani ‘cannellino’, mentre le Gialle al gruppo dei fagioli detti ‘zolfini’ di antica origine toscana.

Reginella Bianca, Reginella Gialla e Cannellina Bianca si seminano a spaglio ovvero con spargimento manuale del seme alla fine di giugno, mentre la raccolta avviene a fine settembre.

Le Cocò Bianca e Gialla sono invece tardive e più resistenti; vengono seminate i primi giorni di giugno, mentre la raccolta avviene ad ottobre.

La raccolta e la lavorazione della ‘Posadi Cortale segue ancora per la maggior parte il metodo manuale e tradizionale.

Quando i baccelli sono maturi, le piante vengono estirpate a mano, raggruppate in mazzetti e appese su fili tesi oppure sugli alberi di fico più vicini.

Quasi completamente secche, dopo un paio di settimane, vengono distese a terra e ad essiccazione completa, si procede con la battitura manuale.

In questo modo i baccelli si aprono rilasciando i fagioli e tramite i crivi (crivelli) agitati sotto vento segue la separazione manuale tra i resti della pianta e i legumi.

Infine, sempre manualmente, con la spulicatura si sceglie il prodotto migliore; i fagioli sono poi esposti al sole o in serra per l’essiccazione completa. Manterranno così per molto tempo il loro colore e la loro qualità.

Per debellare la possibile presenza di parassiti, i fagioli vengono refrigerati per circa 4 ore e rimessi nuovamente al sole pronti per la conservazione i sacchi di juta, ceste o cassette.

Con la ‘Posa’ a Cortale si prepara la buonissima Fagiolata, sempre nella pignata.

Le diverse varietà di Fagioli di Cortale si mangiano anche in modi diversi: ad esempio la Reginella si gusta con la pasta corta, la Cannellina Bianca e la Cocò Gialla (che in cottura diventa rossa) cotte così come sono.

Con la Cocò Gialla e la Cocò Bianca si fa anche la zuppa di funghi e fagioli.

A dicembre a Cortale si svolge la famosa Sagra del Fagiolo durante la quale si preparano abbondanti fagiolate da condividere con i visitatori di questo bel borgo ricco di storia e cultura.

La ‘Sujaca’ di Caria

A Caria, frazione del comune di Drapia ai piedi del Monte Poro in provincia di Vibo Valentia i tre fratelli Costa hanno restituito il giusto valore a due particolari varietà di fagiolo nostrano.

Anche qui la chiamano al femminile, la ‘Sujaca’, e ne esistono due tipologie, la ‘Sujaca a burru’ e la ‘Sujaca cannellina[3].

Sujaca di Caria a burru e cannellina
Sujaca a burru‘ e ‘sujaca cannellina‘ di Caria di Drapia (VV) della Soc. Coop. Agricola Costa Caria

La prima è un buriotto, chiamata a burru perché ha una consistenza burrosa con un seme arrotondato di colore bianco uniforme;

Sujaca di Caria a burru fagioli buriotto
Sujaca a burru‘ di Caria della Soc. Coop. Agricola Costa Caria

la seconda è il classico fagiolo cannellino nano, dal seme cilindrico allungato bianco con punte affusolate o schiacciate e in dialetto è detta cannellina perché ricorda quei piccoli confetti di zucchero e cannella.

Sujaca cannellina di Caria
Sujaca cannellina‘ di Caria della Soc. Coop. Agricola Costa Caria

La fagiola di Caria non va messa a bagno la sera prima perché entrambe le varietà hanno una buccia molto tenera e sottile, facile da digerire.

La ‘Sujaca’ è coltivata oltre che a Caria anche a Zaccanopoli e Zungri, a partire dai 500 metri s.l.m; questo ecotipo di fagiolo ha rappresentato per secoli il sostentamento delle famiglie contadine della zona.

Il fertile terreno vulcanico[4] del Monte Poro regala alle coltivazioni ottime caratteristiche organolettiche come nel caso della ‘Sujaca’.

Fagioli buriotto di Caria di Drapia (VV)
Fagioli buriotto di Caria di Drapia (VV) della Soc. Coop. Agricola Costa Caria

Ma a causa della forte emigrazione dei primi anni del XX secolo e del conseguente spopolamento delle terre, questo prodotto d’eccellenza cadde un po’ nel dimenticatoio.

La famiglia Costa, pur non possedendo terreni di proprietà su cui coltivare la ‘Sujaca’, ne comprese ben presto l’importanza e la qualità; la vendeva a buon prezzo nei mercati locali e diventò molto ricercata.

Fagioli cannellini di Caria di Drapia (VV)
Fagioli cannellini di Caria di Drapia (VV) della Soc. Coop. Agricola Costa Caria

E fu così che alla fine degli anni ’70 la ‘Sujaca’ tornò in auge: nel 2009 nasce la Società Cooperativa Agricola Costa Caria che ad oggi si occupa della maggior parte dei terreni della zona e che la produce con buona resa.

Sagra da Sujaca Caria
La Sagra da Sujaca di Caria

A questo prodotto, poi, dal 1978 ogni anno a Caria si dedica la nota ‘Sagra da Sujaca’, una manifestazione gastronomica che celebra non solo un prodotto tipico ma una vera e propria tradizione ritrovata.

La ‘Sujaca’ di Caria si semina a mano da metà giugno a metà luglio e si raccoglie sempre a mano da metà agosto a metà settembre; la granella secca, invece, da fine settembre a fine ottobre[5].

Per evitare che si sfaldino in cottura, i delicati Fagioli di Caria vengono girati esclusivamente impiegando i manici e nella ricetta tradizionale è assolutamente vietato usare il cucchiaio.

La pignata è riempita per circa la metà della sua capienza di fagioli secchi[6] e fino al collo di acqua.

Ogni volta che l’acqua evapora ne va aggiunta altra alla stessa temperatura[7]; a metà cottura si mette il sale e solitamente anche uno spicchio d’aglio o un peperoncino.

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La ‘Sujacadi Caria si accompagna molto bene con un po’ di cipolla rossa di Tropea oppure con peperoni arrostiti o erbette di campo condite con l’ottimo olio evo prodotto sempre in zona.

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Il Fagiolo di Caria fa parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Calabria (P.A.T.).

Cottura dei fagioli alla pignata
Cottura dei fagioli alla pignata
Contatti e riferimenti:

 

Cooperativa Agricola Pollino Food Experience

www.pollinofoodexperience.com

Tel. 349.5419349 – 349. 3301655

 

Società Cooperativa Agricola Costa Caria

Snc, Contrada Fonte Petti – 89862 Drapia (VV)

Tel. 0963 68287 – 333.6563903

 

Sitografia

www.fondazioneslowfood.com

 

[1] Di origine africana, la Vigna unguiculata fu coltivata e consumata largamente già dagli antichi greci e romani e per tutto il Medioevo, in particolare tra le classi meno abbienti. Il fagiolo dall’occhio è color crema e di piccole dimensioni, facilmente riconoscibile per la presenza di un “occhio” nero in corrispondenza al punto d’inserzione con il baccello. Tuttora il fagiolo dall’occhio è coltivato, ma limitatamente ad alcune zone di Puglia, Toscana e Veneto.
[2] La zona di produzione dei Fagioli Bianchi di Rotonda DOP ricade all’interno del territorio del Parco Nazionale del Pollino e include i comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore, in provincia di Potenza, nella regione Basilicata. I Fagioli Bianchi di Rotonda DOP si riferiscono al legume della specie botanica Phaseolus vulgaris L. ottenuto dagli ecotipi Fagiolo Bianco e Tondino o Poverello Bianco, allo stato fresco (baccello) e secco (granella).
[3] In quest’area ne esistono anche altre due meno coltivate, la ‘Sujaca paisana’ e la ‘Sujaca a luppinu’.
[4] In dialetto cariese viene chiamato pija per indicare il fatto che trattiene bene l’acqua e l’umidità, così anche in periodi di siccità, si crea un effetto “a bagnomaria” sotto la roccia granitica, per cui non necessita di irrigazione neanche durante il caldo estivo.
[5] A Caria ancora oggi fanno la cernita dei fagioli a mano con il tipico cernijjiu.
[6] Per questa operazione c’è un piccolo segreto delle massaie di Caria: bisogna inclinare la pignata in senso orizzontale ponendone la bocca su una mano ed eliminando la quantità di fagioli che fuoriesce e che si deposita sulla mano stessa.
[7] L’acqua da aggiungere si trova in una pignata più piccola posta a fianco dell’altra chiamata in dialetto ‘o cantu.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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