Diario di un viaggio a piedi racconta una Calabria autentica e affascinante: ecco le tappe del percorso di Edward Lear nella provincia di Reggio che suggerisce anche un moderno tour enogastronomico
“Il nome Calabria in se stesso ha non poco di romantico.
Nessun’altra provincia nel Regno di Napoli stimola tale interesse
o ispira tanto ancor prima di avervi messo piede”.
Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi
Era il 25 luglio del 1847 quando Edward Lear, eccentrico artista inglese, si mise in viaggio assieme al suo amico Proby attraversando la provincia di Reggio Calabria alla scoperta di luoghi sconosciuti di questa parte di regione.
Il cammino, interamente a piedi durò 40 giorni e terminò il 5 settembre successivo. Questa esperienza lo lasciò sbalordito: non fu solamente un percorso culturale ma umano, che lo fece innamorare dei paesaggi e dei calabresi.
Erano stati gli anni del Grand Tour[1] e dell’arrivo in Italia da parte dei giovani stranieri facoltosi che volevano ammirare coi propri occhi i resti dei fasti del mondo classico e della Magna Grecia.
Come altri visitatori, Edward Lear subì il fascino della Calabria: avrebbe voluto vederla tutta ma i moti di Reggio glielo impedirono.
In questo suo diario illustra e racconta posti pittoreschi e impensati, spazi naturali meravigliosi, la gente vera e genuina di questa terra ammaliatrice.
Le tappe del viaggio a piedi di Edward Lear in Calabria furono queste:
Reggio, Motta San Giovanni, Bova, Bagaladi, Condofuri, Amendolea, Palizzi, Pietrapennata, Staiti, Ferruzzano, Bianco, Casignana, Sant’Agata del Bianco, San Luca, Bovalino, Ardore, Gerace, Locri, Siderno,
Roccella, Stignano, Stilo, Pazzano, Motta Placanica, Gioiosa, Canolo, Castelnuovo, San Giorgio Morgeto, Radicena (Terranova), Oppido, Gioia Tauro, Palmi, Bagnara, Scilla, Villa San Giovanni, Reggio.
Il tour di Edward Lear inizia e termina a Reggio Calabria spostandosi fra l’entroterra e la costa; accompagnati dal fido Ciccio, la loro guida locale, e da un asinello lasciarono la città per esplorare la zona.
Il percorso di Lear oggi è diventato un trekking e un soggiorno itinerante nel Parco Nazionale dell’Aspromonte chiamato ‘Il Sentiero dell’Inglese’.
Può essere svolto in una settimana partendo da Pentedattilo fino a Staiti, immersi nell’antica Calabria Grecanica di Amendolea, di Condofuri, Gallicianò e Bova.
Ma ecco come un’escursione naturalistica e culturale può diventare spunto per parlare del territorio anche dal punto di vista enogastronomico.
Reggio Calabria
Capoluogo di provincia, Reggio è una delle grandi città della Magna Grecia, è la patria dei Bronzi di Riace e de ‘Il chilometro più bello d’Italia’.
Per Lear nell’800 era ‘un grande giardino’ che profumava di agrumi, tra i quali il prezioso bergamotto[2].
Proprio per celebrare questo nostro famoso frutto, da qualche anno è nato a Reggio il Museo del Bergamotto.
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Grazie ad un’esposizione di strumenti, si raccontano più di trecento anni di cultura, storia e tradizioni di questo tesoro calabrese da cui si ricavano tanti prodotti.
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Passeggiare sul lungomare e salutare la Sicilia è più bello se si gusta un buon gelato e a Reggio è davvero una specialità.
Non si può non assaggiare quello storico di Cesare (gelatocesare.it) uno dei gelati artigianali più buoni della Calabria che delizia il palato di reggini e non da ben tre generazioni.
C’è anche quello all’annona!
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Il piccolo chiosco di Cesare sta proprio a metà strada fra il bellissimo lungomare e il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (www.museoarcheologicoreggiocalabria.it).
Altrettanto buono è il gelato artigianale della Cremeria Sottozero (www.cremeriasottozero.it) dove i gusti da provare sono decine, primo fra tutti il pistacchio di Bronte.
Anche questa gelateria si trova in prossimità del lungomare.
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Bova e la Grecia di Calabria
Bova è la capitale della Calabria Greca detta Bovesìa; non ha solo origini antichissime ma è anche un paese che conserva arte, cultura, tradizioni di un passato importante e in cui si parla ancora in greco.
L’area Grecanica comprende undici comuni della provincia di Reggio Calabria tra il mare e la montagna, diventata culla della minoranza linguistica ellenofona.
La lingua che sopravvive nei borghi di Bova, Gallicianò e Roghudi è arcaica.
E’ quella dorica di Omero come ha sostenuto il glottologo tedesco Gerhard Rohlfs sin dal lontano 1924, al quale Bova ha poi dedicato il Museo della lingua greco-calabra (www.museogerhardrohlfs.it).
Il legame con il mondo greco è presente in tutto, dall’artigianato locale, con le splendide produzioni tessili in stile orientale, all’enogastronomia.
Com’è naturale in Calabria, la cucina grecanica si basa soprattutto sull’agricoltura e la pastorizia.
In questi luoghi affascinanti col latte di capra e di pecora si fanno ricotte e formaggi come il musulupu[3], prodotto esclusivamente in queste zone aspromontane, diventato PAT regionale.
Legato a rituali e simbologie arcaiche, il musulupu[4] assume forme particolari tra cui quella di un seno a più capezzoli o quella della dea madre, segni di prosperità e protezione.
A Bova non si può non assaggiare la lestopitta, il “pane sottile” dei greci di Calabria. Deriva da λεπτός (leptòs), “sottile” e πίτα (pita) “pane”.
E’ una sorta di focaccia fatta semplicemente con acqua, farina, olio e sale, poi fritta e servita calda e croccante, oppure arrotolata e farcita, una volta fredda e ammorbidita.
E’ deliziosa accompagnata da salumi e formaggi locali.
Sempre di tradizione a Bova e nell’area grecanica sono i maccheroni con il sugo di capra, i maccarugna alla vutana o alla boviciana, anch’essi inseriti fra i PAT calabresi.
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Sono i tipici maccheroni fatti a mano conditi con ragù di capra, lo zema, e insaporiti con formaggio grattugiato sempre di capra e peperoncino a scelta.
Nel periodo natalizio si preparano i petràli, diffusi nella provincia di Reggio Calabria, specialità che ha una lontana tradizione e legata al mondo antico.
Ne esistono due varianti, una chiusa e una aperta, a seconda delle zone. Quelli che si preparano a Bova sono aperti e formano dei bellissimi cestini ripieni di prelibatezze.
Frutta secca, scorzette di agrumi e spezie, concorrono al sapore natalizio dei petràli, mentre la pasta con cui vengono realizzati i cestini è a base di farina, lievito, uova, strutto o olio di oliva, zucchero e vino bianco liquoroso.
Esternamente sono decorati poi con cordoncini di pasta e impreziositi da confettini colorati.
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Anche il vino è protagonista di questo territorio: ha infatti radici lontane, così come i suoi vitigni autoctoni.
Le uve a bacca nera di pregio presenti nell’areale sono il calabrese o nerello calabrese, il guardavalle, il castiglione, la nocellara e altri a bacca bianca tra cui il guardavalle e la tundhulidda.
Bianco, Sant’Agata del Bianco, Casignana
Bianco è un piccolo fazzoletto di terra affacciato sul mare vicino all’antica Locri Epizefiri, lungo quel tratto di costa ionica chiamata Riviera dei gelsomini.
La tradizione vuole che da un tralcio di vite portato dai coloni greci sbarcati nell’VIII secolo a.C. presso Capo Zefirio (oggi identificato in Capo Bruzzano), sia nato quel prezioso nettare ambrato che ancora oggi si produce nel territorio di Bianco.
Si chiama Greco di Bianco ed è uno dei vini più antichi d’Italia, come attestano le fonti e la sua tradizione secolare. Nasce dall’uva omonima che dagli studi genetici effettuati appartiene alla famiglia delle malvasie.
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E’ un vino dolce ottenuto dall’appassimento dei grappoli al sole su graticci ed ha caratteristiche eccezionali; Il mito racconta inoltre che possedesse speciali poteri rigeneranti sia a livello fisico che mentale.
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Rappresenta una rarità nel mondo enologico e chi viene in questa zona della Calabria deve assolutamente assaggiarlo per restarne estasiato.
Sempre a Bianco viene prodotto un altro leggendario passito, il Mantonico.
Le sue origini sono ancora poco conosciute, ma si narra che il vitigno mantonico sia arrivato anch’esso con lo sbarco dei primi coloni Greci nel lontano VII secolo a.C., oppure che sia stato domesticato ancora prima nell’antica Enotria.
Con ogni probabilità il nome deriva dal greco μαντονικος (mantonikos) da μαντις-εος (mantis-eos), che significa ‘indovino’, ‘profeta’.
Sembra, infatti, che il vino ottenuto con quest’uva fosse utilizzato dai sacerdoti dell’antica Locri Epizefiri e dagli indovini a scopo cerimoniale e propiziatorio.
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E la fiorente e duratura produzione del vino nell’area della Locride è attestata dai tantissimi palmenti rupestri censiti fra i comuni di Bruzzano, Ferruzzano, Sant’Agata del Bianco e Casignana (oltre 700).
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Sono antichi pigiatoi per le uve scavati nella roccia che evidenziano la naturale vocazione alla viticoltura e che mettono in risalto un paesaggio antropico interessantissimo che vale la pena visitare.
Altra testimonianza della grandezza culturale del posto sono i resti della maestosa villa romana che si trova in località Palazzi a Casignana.
Si tratta di un’enorme residenza extraurbana di ben 5000 mq, sorta attorno al I secolo d.C., ristrutturata nel IV; attorno ad essa si sviluppò un piccolo insediamento, in corrispondenza probabilmente di una statio romana.
Gli scavi effettuati ne hanno portato alla luce solo una parte, dove sono stati individuati gli ampi ambienti relativi ad un complesso termale privato (accessibile da un porticato) e una zona residenziale.
La villa di Palazzi di Casignana conserva inoltre il maggior numero di opere musive della Calabria romana: sono ben venticinque gli ambienti pavimentati a mosaico, di cui cinque meravigliosamente figurati.
E tra esse spicca la straordinaria raffigurazione del Trionfo indiano di Dioniso, proprio qui dove la cultura del vino ha segnato la vita del territorio.
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Locri
Nata sulla costa ionica calabrese presso il promontorio da cui prese il nome, la colonia magnogreca di Λοκροι Επιζεφύριοι (Locri Epizefiri) venne fondata tra la fine dell’VIII e inizi del VII secolo a.C. da greci provenienti dalla Locride (Ozolia o Opunzia), guidati da un ecista di nome Evante.
In questo importantissimo sito, a distanza di secoli, aleggia ancora un’aura nobile, e un misterioso fascino ricopre le tante testimonianze archeologiche del suo grande passato.
Oggi l’antica Locri Epizefiri è infatti visibile nei resti della sua imponente cinta muraria, delle aree sacre, del teatro o delle necropoli.
I suoi templi erano notevoli: da quello ionico di Marasà a quello dorico di ‘Casa Marafioti’ dedicato a Zeus; dal santuario della Grotta delle Ninfe, a quello di Zeus Olimpio fino all’area sacra di Afrodite di Centocamere.
Ma a Locri Epizefiri si trovava anche ‘il più famoso tra i santuari d’Italia’ come scriveva Diodoro Siculo: si tratta del santuario di Persefone o Persephoneion, scoperto dall’archeologo Paolo Orsi agli inizi del ‘900.
Il luogo sorge ai piedi del colle della Mannella ed è stato datato ad un periodo compreso tra il VII ed il III sec. a.C.
Grazie alla serie di importanti scavi e studi, l’area è stata indagata e ha permesso il ritrovamento di numerosi ex-voto e, soprattutto, dei più famosi ed unici pinakes.
Le bellezze artistiche di questa potente colonia della Magna Grecia sono raccolte e conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri e nel nuovo Museo Archeologico Nazionale di Palazzo Nieddu del Rio (www.locriantica.it).
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Scilla
“Scilla è una delle più sorprendenti scene di questa costa, le sue bianche case e la massiccia rocca munita di un castello si sporgono come un nobile rilievo contro il blu scuro delle onde marine…”[5]
Un affascinante borgo affacciato sul mar Tirreno, in quel tratto di costa stretto tra la terra e il mare detta ‘Viola’ per via del colore delle sue acque in alcune ore del giorno.
Scilla è quel posto incantevole dove la bellezza si mescola alla leggenda regalando ai suoi visitatori non poche emozioni e che poeti, scrittori ed artisti di ogni tempo hanno celebrato.
Assieme a Palmi e Bagnara, Scilla è famosa per la pesca del pesce spada, una tradizione che da sempre caratterizza questo centro.
Il pesce spada rappresenta per Scilla anche un vanto della cucina locale. Probabilmente la versione gastronomica più gettonata è quella del famoso panino.
Lo si può trovare preparato, ad esempio, con pomodori, olive nere e capperi, con la cipolla di Tropea caramellata o con rucola e scaglie di grana.
Una ghiottoneria da assaporare godendosi il blu cangiante della costa dall’alto del paese oppure passeggiando fra gli stretti vicoli di Chianalea, il suggestivo villaggio di pescatori che offre, tra le case a pelo d’acqua, delle vere e proprie finestre sul mare come in un quadro d’autore.
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Bibliografia e sitografia
Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi, Rubbettino 2009