Corteccia di china Cinchona Calisaya

Come nascono il Barolo Chinato e il Vermouth, i più famosi tra i vini aromatizzati tutti made in Italy

Si chiamano vini aromatizzati quei vini d’assemblaggio ottenuti da un vino-base neutro con un titolo alcolometrico di almeno del 10%.

Rientrano inoltre in quei vini detti ‘speciali’ perché si ottengono attraverso specifici processi di lavorazione, successivi alla vinificazione e che conferiscono loro proprietà particolari.

Nei vini aromatizzati viene aggiunto alcol etilico buon gusto o acquavite per innalzare il titolo alcolometrico, poi zucchero per dare dolcezza, consistenza, esaltare gli aromi e attenuare possibili sapori amari dati da alcune erbe, e infine estratti o infusi di erbe e spezie.

Nei vini aromatizzati quelle più utilizzate sono la cannella, il macis, il coriandolo, la noce moscata, la salvia, la corteccia di arancio amaro, la china, il rabarbaro, il timo, la veronica e anche l’assenzio, per esaltare sapori e profumi.

La scelta di erbe e spezie deve essere equilibrata e soprattutto è mantenuta segreta dalle aziende produttrici.

Una volta estratti gli aromi da aggiungere (in maniera delicata per evitare la solubilizzazione di sostanze sgradevoli) i vini vengono sottoposti a processi di stabilizzazione, a filtrazioni e chiarificazioni, e tramite resine a scambio ionico e refrigerazione si rendono perfettamente brillanti.

I vini aromatizzati vengono imbottigliati generalmente dopo 6-12 mesi e messi in commercio. I più famosi sono sicuramente due, il Barolo Chinato e il Vermouth.

Il Barolo Chinato è prodotto nella zona d’elezione di uno dei vini simbolo dell’Italia vinicola, le Langhe in Piemonte: si ottiene dalla miscelazione di alcol etilico con zucchero e Barolo DOCG.

Barolo Chinato
Barolo Chinato Cocchi (Fonte: www.cocchi.it)

Il nome Chinato è relativo alla china (o Cinchona calisaya) la corteccia di una pianta originaria delle Ande[1] che è alla base delle piante aromatiche e spezie addizionate.

Il Barolo Chinato non nasce come vino da dessert ma bensì come medicinale: nei laboratori di farmacie e speziali piemontesi verso la fine dell’800 fu venduto come rimedio per i malanni invernali, bevuto caldo come il vin brulè.

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Corteccia di china Cinchona Calisaya
Corteccia di Cinchona calisaya (Fonte: www.tuttelespeziedelmondo.it)

La tradizione vuole che sia stato il dottor Giuseppe Cappellano, farmacista di Alba, ad usare il Barolo a scopi terapeutici, sperimentando questa composizione.

Il Barolo Chinato venne commercializzato nel 1891 da Giulio Cocchi che iniziò una sua produzione ad Asti;

la ricetta prevede ancora oggi l’aromatizzazione del vino con triti di spezie poste in infusione alcolica e stabilizzate per alcuni mesi.

Nel Barolo Chinato ci sono la radice di rabarbaro e di genziana, il seme di cardamomo e la corteccia di china calisaya.

Quest’ultima è sicuramente quella caratterizza maggiormente il gusto di questo prodotto, molto legato al mondo contadino.

Il Barolo Chinato è un ottimo vino da meditazione oltre che da fine pasto; la sua gradazione alcolica raggiunge anche il 18%, è molto aromatico dal gusto dolce-amaro.

La sua eleganza si sposa bene con il cioccolato, i bonbon e i dolci a base di frutta secca.

Altro famosissimo vino aromatizzato made in Italy è il Vermouth.

Anche questo è piemontese: nel 1786 Antonio Benedetto Carpano, ispirandosi ai vini speziati greci e romani[2] e agli infusi italiani del 1500, aggiunse spezie ed erbe al Moscato d’Asti Canelli prodotto nel territorio astigiano, oggi altra importante DOCG.

Vermouth Bianco e Rosso
Vermouth BiancoRosso e Rosato (Fonte: it.wikipedia.org)

Da una bottega torinese di piazza Castello parte dunque la grande storia di questo vino aromatizzato la cui l’invenzione rese il liquorificio di Carpano il locale più in voga della città.

Artemisia_Absinthium Assenzio pianta
Pianta di Artemisia Absinthium (Fonte: it.wikipedia.org)

Il nome Vermouth deriva dal tedesco wermut che significa assenzio[3], ovvero l’ingrediente principale di questo vino.

Non esiste una ricetta originale del Vermouth perché ogni azienda ne produce diversi; il vino non è più solo Moscato ma l’assenzio è sempre presente in tutti.

A questo si aggiungono la genziana, il sambuco, la vaniglia, l’arancio amaro, la cannella, la noce moscata, il coriandolo, il ginepro, l’angelica, la maggiorana, la menta, lo zafferano, la china e altri ancora.

Il Vermouth si trova nelle versioni Bianco, Rosso e Rosato: il Bianco deve avere almeno il 75% di vino-base, un titolo alcolometrico minimo del 16% e almeno il 14% di zucchero; il Rosso si ottiene per addizione di caramello e il Rosato di piccole quantità di vino rosso.

Il Vermouth Bianco Secco (o Dry) deve avere almeno il 70% di vino-base, titolo alcolometrico minimo 18% e una quantità di zucchero bassa, massimo 4%. Esistono anche l’Extra Secco (o Extra Dry) e il Dolce.

C’è poi il Vermouth Superiore che ha un titolo alcolometrico non inferiore a 17% ed è composto per almeno il 50% da vini piemontesi e con erbe diverse dall’assenzio, coltivate o raccolte in Piemonte.

Il Vermouth è il vino aromatizzato impiegato nella preparazione di celebri cocktail fra cui il Negroni, il Manhattan e il Martini.

Martini cocktail Vermouth Dry
Il celebre Martini, creato con una miscela di Vermouth Dry e gin

Nel 2017 è nato un disciplinare a tutela del Vermouth (o Vermut) di Torino, diventato così Indicazione Geografica registrata.

 

Bibliografia

Il mondo del sommelier, Associazione Italiana Sommelier, pag. 183

 

[1] La china è una pianta arborea appartenente alla famiglia delle Rubiaceae. Da secoli è viene utilizzata come aperitivo e digestivo e veniva apprezzata tradizionalmente anche in erboristeria grazie alle sue proprietà eupeptiche. La maggior parte dei principi attivi della pianta sono concentrati nella corteccia, ricca di alcaloidi chininici, tannini, oli essenziali, resine e sostanze amare dalle molteplici virtù benefiche per la salute umana. Il nome Cinchona deriva da quello della moglie del viceré peruviano, la contessa di Chinchón, città della Castiglia, che, secondo la tradizione, sperimentò su stessa le virtù della corteccia di questa pianta capace di sconfiggere perfino la malaria.
[2] Il vinum ellenicus absinthiatum o vino ippocratico prende il nome del famoso medico Ippocrate (460-370 a.C.), padre della medicina, non tanto perché ne abbia trascritto la ricetta, ma dal fatto che per filtrarlo si utilizzavano le famose “maniche di Ippocrate” una sorta di imbuto chiuso fatto con tessuto che aveva il compito di trattenere le spezie. Nell’antica Roma, il vino all’assenzio ebbe alcuni importanti estimatori, fra cui Cicerone (107 -44 a.C.), che era solito offrirlo ai suoi ospiti, diffusione confermata anche da alcuni scritti di Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.), che descrive in maniera particolareggiata le doti miracolose di vini definiti “stomatici” (Fonte: www.saperebere.com).
[3] L’Artemisia absinthium L. (volg. Assenzio) è una pianta dal sapore amaro ampiamente utilizzata per diversi disturbi legati al sistema digerente. Oltre a favorire e regolarizzare il flusso mestruale, è indicata anche come febbrifugo. Il nome assenzio deriva dal termine greco apsìnthion (di etimologia ignota) e da quello latino absinthium, che può essere tradotto come “pianta senza diletto”, proprio a causa dello sgradevole sapore (amaro) in ciascuna delle sue parti. La pianta, già debitamente nota nell’antico Egitto e nella Grecia di Ippocrate, veniva somministrata come tonico e digestivo.
Dall’assenzio si ricava un forte liquore che dà sintomi paragonabili a quelle delle droghe leggere, effetto dovuto ad alcuni specifici oli essenziali presenti nella pianta.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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