Rossa e piccante, la sardella è stata ribattezzata ‘caviale calabrese’ per le sue origini povere ma ha un antenato molto illustre: la famosissima salsa di pesce amata dagli antichi Romani, il garum
Il garum è una salsa di pesce che i Romani importarono dall’Oriente e che ancora oggi sopravvive in diverse preparazioni gastronomiche. In Calabria ad esempio si fa la sardella, ribattezzata ‘caviale calabrese’.
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Una sorta di garum veniva preparato già dai popoli mesopotamici nel III millennio a.C., l’alusa kud.
Secondo alcuni potrebbe essere stato addirittura un’invenzione dei Sibariti (LEGGI ANCHE IL POST SULLA TRYPHE’ DI SIBARI), chiamato in greco gàron.
Molte sono le fonti letterarie che parlano del garum, da Apicio a Plinio, da Elio Lampridio a Gargilio Marziale; tutti riportano informazioni riguardanti questa leccornia del passato.
Sappiamo sicuramente che non aveva un bell’odore e che era caratterizzato da due parti, una liquida il liquamen ed una solida l’allec.
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I pesci erano diversi e di diversa dimensione, generalmente grassi, e il garum nasceva dalla loro “autodigestione” con conseguente fermentazione grazie al sale marino che ne era anche il conservante.
Si predisponevano strati di pesce, sale, spezie ed erbe aromatiche e il tutto era posto in grossi recipienti, lasciato riposare per alcuni giorni e poi rimestato.
Utilizzato anche in medicina, il garum era apprezzatissimo presso gli antichi; quello più pregiato era di sgombro, prodotto a Cartagena, in Spagna.
Numerosi resti archeologici ci attestano come il garum fosse oggetto di commercio nel Mediterraneo, grazie al ritrovamento di anfore di ceramica che lo trasportavano.
In Italia la discendente più famosa del garum è senza dubbio la Colatura tradizionale di alici di Cetara, prodotto d’eccellenza della Costiera Amalfitana, diventata PAT regionale e Presidio Slow Food.
Anche la sardella calabrese, oramai rarità gastronomica di questa bellissima e ricchissima regione, è figlia del garum.
La sardella calabrese prevede l’utilizzo di novellame di pesce, peperoncino, finocchietto selvatico e, ovviamente, il sale.
Conosciuta anche come rosamarina, nudilla o bianchetto, la sardella è una specialità tipica della provincia di Crotone ma è largamente diffusa in tutto il Basso ed Alto Ionio cosentino.
Per tradizione Crucoli (Kr), un piccolo comune della costa, è chiamata ‘la città della sardella’.
Qui, come in altre zone, il novellame di pesce impiegato per la sardella non è il bianchetto, ma la neonata di sarde (sardina pilchardus) o di alici di pochi centimetri, pescata localmente nel periodo di marzo-aprile.
Ma come si fa questa conserva ittica piccante e profumata?
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Innanzitutto la sardella viene lavata con acqua dolce, scolata e lasciata asciugare un po’.
C’è chi la fa maturare con il sale per un po’ di tempo e la condisce solo successivamente, oppure più comunemente la si impasta direttamente con tanto peperoncino in polvere e semi di finocchietto selvatico.
Effettuata la salagione e l’impasto si creano nei cosiddetti salaturi o tarzaruli (che ancora adesso si trovano in terracotta) strati alternati di sardella, peperoncino, sale e finocchio (meglio se silano).
Fra gli strati vengono messi spesso anche dei pezzi di peperoni rossi secchi (li chiamano ‘quatre’).
La sardella riposa e matura in luoghi freschi e asciutti per un po’ di giorni, rilasciando la cosiddetta salimora (ovvero il sale che affiora in superficie) e si aspetta che il pesce venga macerato.
Mescolata di tanto in tanto, col tempo la sardella assume il suo bel colore rosso scuro, il suo aroma inconfondibile e la consistenza cremosa a mo’ di mousse che la rende così prelibata.
La chiamano ‘caviale calabrese’ alludendo al pregio che assume in relazione alle sue origini contadine; a seguito del divieto dell’Unione Europea di pescare la sardella, oggi è una bontà più difficile da reperire.
Dal 2006, col Regolamento Mediterraneo, la pesca e la commercializzazione del novellame di pesce azzurro al di sotto degli 11 cm sono diventate illegali per tutelare l’ecosistema marino.
La Calabria aveva ottenuto una deroga, tolta però nel 2010: a Crucoli la sardella era stata dichiarata prodotto De.C.O. ma proprio a seguito di queste limitazioni la Prefettura ne ha ordinato la cancellazione.
Nonostante le restrizioni la tradizione della sardella non è scomparsa, ma si è molto ridotta.
Le massaie calabresi continuano a prepararla in piccole quantità per le loro famiglie e per farla assaggiare d’estate a parenti ed amici che ritornano per le vacanze.
E’ impossibile venire in queste zone della Calabria dove la sardella regna sovrana e non mangiarla come ripieno delle deliziose pitte oppure semplicemente spalmata sul pane con l’olio d’oliva.
Il caviale calabrese d’estate accompagna anche le insalate di pomodori; Mario Soldati consigliava addirittura di gustare la sardella “…usando una foglia di cipolla dopo l’altra, come grosso cucchiaio che s’immerge… e si mangia assieme ad essa”.
La sardella è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Regione Calabria (P.A.T.).
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