Decantare il vino: ossigenarlo, purificarlo e tesserne le lodi
Quando un vino viene decantato torna alla vita; gli viene restituito quell’ossigeno che tutti gli anni passati in bottiglia gli hanno tolto.
Riprende fiato e si apre: scopre lentamente i sui profumi stratificati dal tempo e lascia sul fondo le scorie accumulate durante il suo riposo.
Attorno alla decantazione (del vino ma anche di altri liquidi quali ad esempio l’olio) vivono significati di diversa accezione che però ne costituiscono la sua profonda valenza.
Etimologicamente il termine decantare potrebbe provenire dal greco kanthós cioè ‘angolo dell’occhio’ o dal latino medievale de-canthare (composto da de più canthus, ‘lato, angolo’) ossia ‘mettere da parte’ e, con un significato più ampio, ‘purificare’.
In latino classico decantare intensifica il verbo cantare in ‘recitare cantando’ e figurativamente ‘tessere le lodi cantando’.
In italiano questo verbo può essere inteso sia in senso transitivo (quando sottoponiamo a decantazione qualcosa) sia in senso intransitivo (quando si verifica la decantazione).
Decantazione è fisicamente quel procedimento in cui le particelle insolubili sospese in un liquido vengono da esso separate (appunto, messe da parte) facendole sedimentare[1].
Questa operazione fa sì che si purifichi, si liberi dalle scorie e dalle impurità, diventando limpido.
Il vino si decanta per aerarlo velocemente e per separarlo da eventuali sedimenti; questi depositi si formano soprattutto all’interno di bottiglie di vino rosso lasciate invecchiare per lungo tempo.
Decantare le peculiarità del vino nel bicchiere è quello che fa poi chi lo beve: tesse le lodi del suo bel colore, si inebria del suo intenso profumo e delizia il palato col suo gusto.
Viene celebrato in qualche modo proprio come farebbe un poeta che recita la sua poesia più bella.
Il famoso strumento che utilizza il sommelier per attuare questa procedura talvolta delicata è quella sinuosa caraffa dalla pancia larga, il decanter.
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La base ampia permette al vino una grande ossidazione (esposizione all’aria), agli aromi di uscir fuori e alle fecce di rimanere sul fondo.
Il decanter generalmente non supera mai 1,5 litri di capacità; è in vetro o in cristallo trasparente, oggi reperibile in diverse forme.
Nel mondo greco e romano molti sono i vasi utilizzati durante i simposi per mescere e bere il vino (LEGGI ANCHE IL POST SUI VASI POTORI).
Uno fra questi ricorderebbe il decanter e si chiama lagynos. Era una brocca utilizzata da Greci e Romani, forma tipica della Grecia orientale diffusa fra il III e il I secolo a.C.
La lagynos presenta un collo alto e stretto ed un corpo globulare ampio; dotata di una sola ansa verticale serviva a versare il vino.
Si usava nei simposi ed era portata come contributo al banchetto dal simposiasta; è descritta come unità di misura corrispondente a 12 kotylai (la kotyle era una coppa di forma generica).
La lagynos serviva per il trasporto e il commercio come l’anfora (LEGGI ANCHE IL POST SULL’ANFORA); ne sono stati ritrovati esemplari più piccoli che presentano decorazioni semplici come ghirlande, delfini e strumenti musicali.
Costituì il vaso funzionale ai rituali delle grandi feste dionisiache interclassiste istituite ad Alessandria da Tolomeo IV alla fine del III secolo a.C. (le cosiddette lagynoforia[2]) e si diffuse rapidamente nelle aree di cultura greca o di forte ellenizzazione, come l’Etruria.
Bibliografia e sitografia
Giovanna Pacilio, Vieste Tomba d’elite. Primi risultati in Atti del 28° Convegno Nazionale sulla Preistoria – Protostoria – Storia della Daunia, San Severo (Fg) 25-26 Novembre 2007 a cura di Armando Gravina – San Severo 2008, pag. 326
www.treccani.it