Microrganismi del mosto saccharomyces cerevisiae

Lieviti, batteri e muffe: come agiscono i microrganismi del mosto quando si trasforma in vino

I lieviti

Tra i microrganismi che popolano il mosto d’uva prima che diventi vino ci sono i lieviti.

Questi sono funghi unicellulari che si moltiplicano per gemmazione e responsabili proprio della trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica e quindi della relativa fermentazione alcolica[1].

I lieviti si trovano sulla buccia degli acini e sui raspi (LEGGI ANCHE IL POST SULL’UVA) e si chiamano apiculati (Candida e Kloeckera apiculata), a forma ovoidale e di piccolo limone.

Sono i cosiddetti lieviti indigeni o autoctoni (anche selvaggi) che fanno iniziare velocemente il processo di fermentazione e producono acido acetico.

Questi lieviti soffrono però sia l’anidride solforosa che l’alcol etilico che loro stessi producono, ma nello stesso tempo evitano la produzione di sostanze sgradevoli.

In enologia, però, i più importanti sono i Saccharomyces cerevisiae (var. ellipsoideus) lieviti ellittici impiegati anche nella produzione di pane e birra e per questo detti comunemente lievito di birra.

Microrganismi del mosto saccharomyces cerevisiae
I Saccharomyces cerevisiae, il lievito di birra (Fonte: www.enciclopediadellabirra.it)

Questi lieviti si riproducono per gemmazione; per nutrirsi hanno bisogno di carbonio, azoto ammoniacale[2], sali minerali (quali fosforo, potassio, zolfo e calcio) e vitamine.

Anche la temperatura influenza l’attività metabolica dei lieviti condizionandone sia la velocità sia la capacità fermentativa. La massima velocità di fermentazione si ha a 23°C e rallenta fino ad essere inibita a temperature superiori ai 35°C.

L’ossigeno è necessario ai lieviti per la respirazione e la moltiplicazione.

In assenza d’ossigeno la respirazione è sostituita dalla fermentazione alcolica (LEGGI ANCHE IL POST SULLA FERMENTAZIONE ALCOLICA).

Nei primi due giorni l’ossigeno favorisce la moltiplicazione dei lieviti; nei giorni successivi l’arieggiamento inibisce la fermentazione.

L’anidride solforosa ha un effetto selettivo su tutti i microrganismi ed anche sui diversi tipi di lieviti, assumendo una funzione regolatrice della fermentazione alcolica[3].

Vino novello

A dosi minime i lieviti sono stimolati nel loro metabolismo e la fermentazione risulta attivata. A dosi medie sono inibiti i lieviti apiculati mentre si sviluppano bene quelli ellittici.

A dosi elevate tutti i lieviti sono inibiti perciò il mosto diventa “muto”.

Oggi in cantina, specialmente per il processo di spumantizzazione (e non solo) si usano lieviti selezionati, aggiungendoli a mosti sterilizzati per eliminare i lieviti indigeni[4].

Per vini ottenuti con vitigni come sauvignon e chardonnay si utilizzano lieviti varietali, capaci di liberare i precursori aromatici presenti naturalmente in queste uve ed esaltarne i loro profumi primari.

Quelli più utilizzati sono i Saccharomyces oviformis, che resistono bene alle sovrappressioni.

 

I batteri

I batteri sono microrganismi unicellulari più piccoli dei lieviti, generalmente dannosi poiché potrebbero apportare malattie ai vini.

Il proliferare di batteri è ormai pressoché improbabile date le ottime condizioni igieniche in cui si opera nelle cantine.

Solo alcuni batteri sono utili, i batteri lattici, indispensabili per realizzare la fermentazione malolattica durante la quale l’acido malico è trasformato in acido lattico e ciò fa diminuire l’acidità del vino rendendolo più morbido (LEGGI ANCHE IL POST SULLA FERMENTAZIONE MALOLATTICA).

Microrganismi del mosto batteri lattici
I batteri lattici (Fonte: www.ebsrl.net)

 

Le muffe

Tra i microrganismi del mosto possono essere presenti anche le muffe, che si sviluppano sulle uve danneggiandole, soprattutto in presenza di elevata umidità.

Sono funghi pluricellulari parassiti dell’uva, responsabili di danni qualitativi e quantitativi; si insediano anche sui contenitori vinari e, passando nel vino, possono provocare intorbidamenti, con odori e sapori sgradevoli.

Le più importanti sono la peronospora, l’oidio; fa eccezione la Botrytis cinerea o muffa grigia che in particolari condizioni pedoclimatiche si trasforma in muffa nobile che ci regala preziosissimi nettari chiamati vini botritizzati o muffati.

Botrytis cinerea muffa grigia muffa nobile uva
Grappolo d’uva attaccato dalla Botrytis cinerea

E’ quanto succede, per esempio, nella Valle del Reno, nella zona del Tokay in Ungheria e, in Francia, nella zona in cui si produce il Sauternes: in queste valli asciutte la botrytis, consumando acqua ed acidi e quindi aumentando indirettamente il grado zuccherino dell’uva, apporta nuovi composti, tra i quali soprattutto la glicerina.

LEGGI ANCHE IL POST SULLA BOTRYTIS CINEREA

 

Bibliografia e sitografia

Il mondo del sommelier, Associazione Italiana Sommelier, pagg. 75-76

www.treetek.it

 

[1] La fermentazione fu considerata per lungo tempo un mistero, le cui origini diedero luogo a supposizioni e teorie, che la ritenevano un processo di decomposizione delle sostanze organiche presenti nel mosto. Nel XVIII secolo il primo a comprendere il processo fu Antoine Lavoisier, che intuì che gli zuccheri presenti naturalmente nell’uva si trasformavano in alcool e anidride carbonica. Successivamente, nel XIX secolo, un chimico francese di nome Joseph Louis Gay-Lussac trovò la formula matematica che regolava questo processo, ma fu Louis Pasteur, esattamente nel 1854, a comprendere che la fermentazione derivava dall’attività dei lieviti in assenza di ossigeno (Fonte: www.cantinedidolianova.it).
[2] La carenza di azoto può creare problemi relativi a fermentazioni secondarie e malolattica indesiderate.
[3] Per evitare eventuali infezioni o alterazioni del mosto, e poi del vino, è utile l’impiego di sostanze che impediscono o limitano la diffusione di microrganismi indesiderati. La più importante di tali sostanze è senza dubbio l’anidride solforosa (SO2), un gas che si sviluppa dalla combustione dello zolfo e che si trova in commercio sotto varie forme. L’anidride solforosa si aggiunge al mosto soprattutto per regolare la fermentazione alcolica, poiché ha il potere di inibire la vita dei batteri, delle muffe e dei lieviti indesiderati (vale a dire di quelli apiculati, che producono poco alcool e molto acido acetico); con dosi opportune, resta invece inibita solo per qualche ora l’attività dei lieviti ellittici (buoni vinificatori) che poi riprendono la fermentazione in modo meno tumultuoso, con una buona resa alcolica e scarsa produzione di acido acetico. Viene anche favorito il naturale illimpidimento del mosto. La fermentazione così regolata consente anche un’efficace dispersione del calore che ne deriva: ciò è particolarmente utile nelle regioni meridionali, dove l’elevata temperatura ambientale potrebbe favorire lo sviluppo di un calore eccessivo, con fermentazione anomala e dannosa. L’anidride solforosa è pure un ottimo conservante per il vino: inibendo l’attività dei microrganismi lo protegge dalle infezioni; inoltre svolge un’azione antiossidante, preservando dall’ossidazione le sostanze coloranti: il vino conserva la sua limpidezza e il colore diventa più intenso.
[4] Per ottenere i lieviti selezionati si sterilizza una piccola quantità di mosto, vi si immette una piccola quantità di cellule che si moltiplicano fino a 5-10 milioni per millilitro. Questa piccola massa di mosto innestato è detta lievito d’avviamento (o fermentino o pied-de-cuve). Questa pratica è nota come “eviraggio” di base.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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