Alla scoperta del misterioso Balbino, l’antico vino di Altomonte tramandato dalle fonti e che nel secolo scorso, grazie alla Ditta Giacobini, divenne uno dei ‘vini di lusso’ della Calabria
“L’etimologia di questa terra senza durar fatica si apprende dallo stesso vocabolo. Sorge in vero sopra una natura, che tutta sovrasta la gran Valle di Crati, e distende la sua veduta fino al Golfo di Taranto. Ampio n’è l’orizzonte, sempre di un clima temperato, spesso soggetto al soffio di più venti.
Ignorato n’è il primo fondatore, se non sempre vogliamo credere a’ patrii scrittori, che quasi di tutte le città, paesi e ville della Calabria conoscono i soli Enotri, o gli Ausoni per fondatori. Si vuole che sia fabbricata sopra le ruine dell’antica Babia, o Balbia”.
Tratto dall’opera Della Magna Grecia e delle tre Calabrie quello qui descritto è uno fra i borghi più belli d’Italia: Altomonte, comune della provincia cosentina, rappresenta un raro gioiello di natura, storia ed arte.
Il suo ricco patrimonio culturale è ben visibile nelle splendide architetture del suo centro storico, nella Chiesa di Santa Maria della Consolazione, massimo esempio dell’arte gotico-angioina in Calabria o nel castello normanno del XII secolo.
Il toponimo relativo all’antica Altomonte è Balbia, voce forse fenicia derivante da Baal, che significa “signore” e “divinità”; con molta probabilità il paese originariamente si trovava spostato verso il fiume Esaro, dove, in contrada Larderia, sono stari ritrovati i resti di una villa romana databile al I secolo d.C.
Nel 1065 l’abitato di Altomonte è menzionato come Brahalla o Brakhalla, proveniente secondo le ipotesi dall’arabo “benedizione di Dio”.
Sempre nell’opera sopra citata si dice che “oltre di Balbia, ebbe il nome di Braellum o Bragallum, che dal re Roberto il Saggio della dinastia degli Angioini, o secondo altri a richiesta di Pilippo Sangineta nel 1337 fu cangiato in Altofiume.
Ma nemmeno questo nome fu durevole, chè la regina Giovanna I, ancor della dinastia angioina le diede il nome di Altomonte.”
A quanto pare Balbia era nota agli antichi per una cosa in particolare, il suo vino: “Questa città, si rese maggiormente celebrata nell’antichità a ragione de’ suoi vini generosi. Plinio annoverando i vini più celebrati dell’Italia, non n’esclude quelli di Babia[1].
Ateneo lo chiama generoso, e veramente austero[2], e vuole che qui nascesse la vite Bimblina la quale fu trapiantata in Siracusa dal primo re Poli, oriundo di Argo Greco, onde il vino formato da tale uva presso Siracusani ebbe la denominazione di vino Polio[3].
Secondo le fonti, dunque, il Balbino di Altomonte sembrerebbe essere addirittura il progenitore del Moscato di Siracusa, nato dalla stessa vite (LEGGI ANCHE IL POST SUL MOSCATO DI SIRACUSA).
In età moderna lo troviamo fra quei ‘vini di lusso’ della Calabria assieme al Provitaro Bianco (paragonato allo Chablis), al Calabrese Rosso (paragonato al Bordeaux), al Malvasia, al Moscato Giacobini e al Moscato Diavolone[4].
Ad Altomonte, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, furono attivi i Giacobini[5], nobile famiglia diventata una rinomatissima ditta di produzione di vini pregiati, liquori e vermouth. Il Balbino Bianco era uno dei loro prodotti migliori; nel 1889 vinse la medaglia d’oro alla Fiera dei Vini Nazionali.
Ciro Luigi Giacobini e il figlio Francesco diedero vita ad una vera e propria industria, una delle poche allora esistenti in provincia di Cosenza; fu un periodo di grande crescita e di sviluppo economico del territorio, che creò lavoro per decine di operai arrivando a movimentare oltre 200.000 bottiglie all’anno, esportando in tutto il mondo.
La fabbrica si trovava nell’omonimo Palazzo Giacobini ad Altomonte, oggi sede dell’Hotel Barbieri. L’attività è sopravvissuta grazie ai fratelli Sciarra e al loro marchio Moliterno: nel museo aziendale allestito in una casa patronale completamente ristrutturata, la famiglia Sciarra racconta anche della Ditta Giacobini attraverso oggetti, attrezzature e documenti, privati e non.
Quale fosse l’uva utilizzata dai Giacobini per il loro Balbino Bianco non è chiaro, né se fosse quella di cui parlano le fonti o un uvaggio misto.
L’azienda agricola Farneto del Principe di Altomonte ha chiamato Balbino uno dei suoi vini, ottenuto da guarnaccia bianca (LEGGI ANCHE IL POST SULLA GUARNACCIA) greco bianco (LEGGI ANCHE IL POST SUL GRECO DI BIANCO) e malvasia (LEGGI IL POST SULLE MALVASIE DEL MEDITERRANEO).
Esiste anche un balbino nero ad Altomonte, chiamato in dialetto ‘mparinata: è un vitigno a maturazione tardiva (nella prima e seconda decade di ottobre), dal grappolo medio-grande, di forma conica, abbastanza lungo e compatto ma talora spargolo e con peduncolo medio-corto. L’acino è medio-piccolo, ellissoidale o ellissoidale corto.
La buccia è spessa, molto pruinosa (da questo il termine ‘mparinata, cioè “infarinata”) e di colore blu-nero. La polpa è poco consistente, gradevolmente dolce e giustamente acida. Il balbino nero predilige forme di allevamento poco espanse come l’alberello ed è un vitigno rustico, non molto sensibile ad avversità e a parassiti.
E’ stato recuperato anche a Cirò, dove è attestato dalla metà del 1800; un tempo era utilizzato come uva da tavola, oltre che per fare vino. Oggi, quasi scomparso, dà uve che si uniscono per la vinificazione con le altre locali.
Bibliografia e sitografia
Della Magna Grecia e delle tre Calabrie. Ricerche etnografiche, etimologiche, topografiche, politiche, morali, biografiche, letterarie gnomologiche, numismatiche, statistiche, itinerarie. Calabria settentrionale, Per Nicola Leoni, Vol. II, Napoli 1845, pagg. 188-189
Schede ampelografiche in “Il Gaglioppo e i suoi fratelli. I vitigni autoctoni calabresi”, Schneider et al. Edizioni Tecniche nuove, 2008