A Calangianus (OT), nel cuore della Gallura, si trova un museo dedicato alla produzione di un elemento importantissimo per il vino e i suoi cultori: il sughero
In Gallura l’intensa macchia mediterranea che si srotola partendo dalle sue meravigliose spiagge attraverso i sentieri granitici montani è un paesaggio spettacolare: con l’alternarsi dei suoi verdi e grigi questa natura selvaggia affascina al primo colpo d’occhio. Calangianus, comune in provincia di Olbia-Tempio, è da circa 150 anni un fiorente centro economico e produttivo legato alla specie arborea dominante, quella dell’imponente quercia da sughero detta anche la sughera[1].
Qui, nel 2011, all’interno del bellissimo complesso settecentesco che comprende l’ex convento dei Frati Francescani e la chiesa di Santa Maria degli Angeli, è stato inaugurato un museo dedicato interamente alla Quercus Suber L.[2]: gestito dall’associazione turistico-culturale “Contiamoci” che si è occupata anche dell’allestimento, ad oggi è l’unico in tutta la Sardegna. Attraverso un percorso articolato su due piani, viene illustrata passaggio dopo passaggio la nascita dei tappi di sughero, elementi fondamentali nel mondo del vino.
L’estrazione del sughero avviene nel periodo che va da maggio ad agosto perchè le temperature sono quelle ideali affinché la corteccia si stacchi facilmente dal tronco evitando danni al fellogeno, ossia al tessuto che ne garantisce la riproduzione. E’ una operazione delicatissima effettuata da operai specializzati, gli scorzini (bucadòri), che con un’accetta praticano due incisioni circolari trasversali, una al piede e una all’altezza stabilita per la decortica; queste incisioni vengono poi congiunte da una o due longitudinali ai lati del tronco.
Successivamente la corteccia si stacca facendo leva nelle incisioni con il manico dell’accetta; la scorza si presenta sotto forma di grandi fogli ricurvi dette plance, lasciando il tronco nudo e di colore rosso. Gli scorzini praticano sul tronco ulteriori incisioni (stradelle) che faciliteranno la futura estrazione e per fa sì che il sughero riformandosi crei un solo solco e non presenti ulteriori crepe.
La prima estrazione è detta in gergo demaschiatura[3] poiché le piante vengono private del sughero maschio più rugoso e irregolare (sugherone) e che viene utilizzato in edilizia o per i prodotti artigianali; solo dopo la “messa a coltura” della quercia il sughero femmina (o gentile) sarà quello che darà vita ai nostri preziosi tappi per il vino, anche se bisognerà aspettare un’altra decortica per avere la maturità del prodotto.
Tra un’estrazione e l’altra la normativa prevede un lasso di tempo di 10 anni, ma per una maggiore qualità è sempre meglio aspettare e decorticare ogni 12. Una volta estratte e selezionate le plance, il sughero viene portato nei centri di deposito e di stagionatura. Quello maschio assieme a quello femmina che presenta delle imperfezioni, è destinato alla macinazione per la produzione degli agglomerati, specialmente per i tappi da spumante; quello che non presenta difetti sarà invece impiegato per produrre turaccioli naturali e di qualità[4].
La stagionatura è il processo durante il quale il sughero viene esposto all’aria aperta che per consuetudine non è mai inferiore ad un anno; durante questo periodo perde l’umidità in eccesso e gran parte della polvere rossa dovuta all’estrazione[5].
Ultimata la stagionatura, il sughero deve essere sottoposto a bollitura prima di essere lavorato. Con questo procedimento si appianano le rotondità della corteccia e lo si rende più morbido e malleabile; in campo enologico garantisce al tappo da vino elasticità e flessibilità poiché consentono un’ottimale adesione al collo della bottiglia.
Il sughero imballato a fàsci (grosse balle) viene bollito a 100° C per un’ora all’interno di grandi caldaie di rame o d’acciaio inox; subito dopo le plance sistemate ordinatamente le une sulle altre vengono lasciate in ambienti chiusi ma che consentono una buona areazione, tale da evitare la formazione di funghi o microrganismi difficili da eliminare durante le altre fasi di lavorazione.
Per l’appiattimento, operazione detta molatura, sono utilizzati dei pesi; le plance vengono rovesciate più volte in modo da stabilizzare l’umidità residua del sughero, ritagliate poi nei bordi e nelle escrescenze per formare tavole rettangolari o quadrate pronte per le macchine da taglio.
Fino a tempi recenti la lavorazione del sughero avveniva manualmente; all’inizio nelle prime fabbriche i tappi non erano cilindrici ma dei piccoli parallelepipedi detti quadretti; questi erano usati per imbottigliare direttamente il vino o venivano spediti in continente (come i sardi chiamano la penisola) dove avveniva la trasformazione in turaccioli veri e propri o anche in quadrangolari, ossia di forma non ancora circolare ma ottagonale.
Nei sugherifici di Calangianus i quadretti erano realizzati da li quadrittài che tagliavano con lame affiliate il sughero ridotto in strisce dette bàndi su un piccolo tavolo di legno chiamato barrili sul quale si poteva lavorare singolarmente, mentre su la stàbiglia si stava a gruppi di quattro.
Dopo la molatura il sughero è pronto per essere lavorato da vari macchinari per avere il prodotto finito: passando dal tirabande alla fustella, dall’intestatrice e rettificatrice alla smussatrice fino alla lavatrice, centrifuga e pararaffinatrice, si arriva al confezionamento dei tappi da vino.
Esistono diversi tipi di tappi di sughero impiegati in enologia: il monopezzo è il migliore per qualità in quanto si ottiene attraverso un unico taglio della plancia, quello bicomposto è costituito da due rondelle di sughero naturale poste alle estremità di un corpo agglomerato, quello per spumante realizzato assemblando all’estremità inferiore due dischi di sughero naturale ad un corpo agglomerato e infine l’agglomerato unico.