Conosciamo meglio il nostro greco di Bianco, il leggendario vitigno della Locride che appartiene ad un genotipo comune di malvasie diffuse nel Mediterraneo
Approfondite ricerche genetiche ed ampelografiche hanno classificato il nostro antichissimo greco di Bianco, vitigno dal quale si ottiene l’omonimo vino, come una malvasia.
Precedentemente ritenute cultivar distinte, le malvasie delle Lipari, di Sardegna (di Bosa e di Cagliari), il greco di Bianco (o di Gerace), la malvasia di Sitges[1] (Spagna), la malvasia dubrovačka (Croazia), quella candida di Madeira (Portogallo) e di Tenerife (Canarie), hanno invece mostrato un profilo molecolare identico.
Sarebbero tutte della stessa varietà ma con fenotipi diversi:
il genotipo comune di queste malvasie è sparso in tutta l’area mediterranea fino alle Canarie e a Madeira e l’indagine storica indica che sia stato importato dalla Grecia;
arrivato poi in questi diversi luoghi, ha incrociato altre varietà e incontrato ambienti diversi creando mutazioni in alcuni geni, mentre il DNA è rimasto uguale.
Le malvasie sono un gruppo ampio ed eterogeneo di varietà di uve coltivate in Grecia, Croazia, Italia, Francia, Spagna e altri paesi europei.
La classificazione delle cultivar di malvasia risulta complessa, in quanto mancano dei descrittori ampelografici comuni.
In Italia ne sono state individuate 18 grazie all’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto, che partendo da un campione di 30 accessioni diverse, ha operato una lunga e minuziosa serie di analisi, da quelle ampelometriche a quelle chimiche ed isoenzimatiche.
Secondo alcuni studi il nome deriverebbe da Monemvasia[2], un vecchio porto commerciale della Laconia, nel Peloponneso.
Il primo documento scritto di un Malvasia[3] risale al 1214, quando l’arcivescovo di Efeso Nicola Mesarites si riferiva a un vino chiamato proprio Monovasia o Monemvasios assieme ai vini di Chio, di Lesbo e dell’Eubea.
L’italianizzazione e diffusione di questo termine è legata a un attivo commercio del vino nel Medioevo soprattutto da parte dei veneziani, i quali iniziarono a commercializzare il Vinum de Malvasias nel 1278.
Il nome Malvasia era riferito ai vini dolci ed aromatici della Grecia (prodotti nel Peloponneso, a Rodi, Creta e nelle isole ioniche) e dopo che quest’ultima venne conquistata dall’impero ottomano, si crearono nuovi centri di produzione lungo le rotte marittime del Mediterraneo.
In Italia il primo a parlare delle varie malvasie fu Andrea Bacci[4] a fine Cinquecento:
nella sua opera riporta che Giulio Cesare Scaligero di Riva del Garda, umanista a lui coevo, sosteneva che l’etimologia del vino Monobaticum derivasse dal greco Monobasiten (Μονοβασίτήν) termine con cui Ateneo di Naucrati (III sec. d.C.) chiamava un particolare vino “unica base e fondamento della bontà di tutti i vini”.
Come sostiene il prof. Attilio Scienza dell’Università degli Studi di Milano, la coltivazione di queste malvasie del Mediterraneo è ancora oggi localizzata in prossimità del mare; ciò dimostra che i loro vini erano per le caratteristiche compositive adatti a lunghi viaggi ed oggetto di intensi commerci.
Non è dato sapere da quale specifica regione mediterranea siano partite, né quale sia stata la cronologia delle loro tappe in Occidente, ma come dimostrano alcune sequenze del DNA, sembra che questo vitigno non sia arrivato in Spagna dalla Grecia, ma dalla Magna Grecia e quindi forse dalla Calabria.
In passato si faceva molta confusione tra il vino di Malvasia ed i vini Greci, molto simili per le caratteristiche organolettiche del vino, come testimonia la sinonimia della malvasia con il greco di Bianco o di Gerace, l’unico tra i vitigni del gruppo a risalire, con tutta probabilità, alla colonizzazione greca.
In Dalmazia ed in Spagna è arrivato in epoca medievale per emulare le malvasie veneziane. Queste presentano un profilo terpenico originale, che le avvicina ai moscati[5].
I vini prodotti da queste malvasie del Mediterraneo, ubicati a molti chilometri di distanza fra loro, sono unici e rari, ognuno con le sue peculiarità:
hanno una potenza evocativa enorme, sono legati a miti e leggende che attraversano un arco di tempo di oltre tremila anni di storia dell’uomo;
accompagnano il meraviglioso viaggio della domesticazione della vite da Oriente a Occidente e il delizioso nettare del nostro greco di Bianco ne è quasi sicuramente la maggiore dimostrazione.
Bibliografia e sitografia
Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore, pag. 252-253
http://digital.csic.es/bitstream/10261/114553/1/malvasia_crespan.pdf
Viticoltura in Planargia, Stato dell’arte, prospettive e potenzialità di sviluppo nell’areale vitato del Malvasia di Bosa DOC, Atti del Convegno di Modolo, 12 dicembre 2015, a cura di Livio Petrini, Ae-Aonia edizioni
mi piacerebbe sapere se il vitigno Greco di Gerace ha la pagina inferiore della foglia liscia o tomentosa