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Bova: il vino, il cibo e la cultura nel cuore della Grecia di Calabria

A spasso tra le bellezze senza tempo, la cultura e i sapori della capitale dell’area Grecanica: Bova

E ci sono luoghi sui quali aleggia un’aura particolare, dove passeggiando per le strette vie del centro storico si ha la sensazione che lì tutto si sia fermato, come sospeso tra passato e presente. Bova, capitale della Calabria Greca detta Bovesìa, arroccato sul versante orientale dell’Aspromonte a circa 900 metri s.l.m., non ha solo origini antichissime ma è anche un paese che conserva arte, cultura e tradizioni di questa parte di regione in cui si parla ancora in greco.

Benvenuti a Bova (Rc)

L’area Grecanica comprende undici comuni della provincia di Reggio Calabria tra il mare e la montagna, diventata culla della minoranza linguistica ellenofona. La lingua che sopravvive nei borghi di Bova, Gallicianò e Roghudi è arcaica: è quella dorica di Omero come ha sostenuto il glottologo tedesco Gerhard Rohlfs sin dal lontano 1924, al quale Bova ha poi dedicato l’interessantissimo Museo della lingua greco-calabra.

Museo della lingua greco-calabra “G. Rohlfs” di Bova (Rc)

Bova si mostra subito ai suoi visitatori nella sua bellezza senza tempo: una locomotiva a vapore delle Ferrovie dello Stato del lontano 1911 è ferma nella piazza principale, a simbolo dell’emigrazione; c’è semplicità e tranquillità, soprattutto perché in pochi hanno deciso di restare a vivere in questo borgo preferendo la marina. Anche i vicoli hanno il doppio nome in grecanico e testimoniano quanto la comunità sia legata alle sue origini.

La locomotiva a vapore del 1911 che si trova in piazza a Bova (Rc) – Credits: FRshoots

Vùa (in greco antico)[1] fu probabilmente una fortezza magno-greca posta sul confine tra le potenti poleis di Reggio e Locri, anche se poi venne assoggettata alla tirannide siracusana. In un altalenarsi di incursioni e dominazioni barbare, saracene e bizantine, Bova fu conquistata dai Normanni e divenne sede diocesana mantenendo fino al 1572 il rito liturgico greco-bizantino e restando una delle ultime ad essere latinizzate dalla chiesa cattolica.

Nonostante il terremoto del 1783, Bova ha mantenuto nella ricostruzione le stesse caratteristiche architettoniche che ne fanno il suo fascino e la sua ricchezza e grazie alle quali è diventato uno dei Borghi più belli d’Italia. Il legame con il mondo greco sopravvive in tutto, dall’artigianato locale con le splendide produzioni tessili in stile orientale[2] all’enogastronomia. Il vino qui prodotto ha infatti radici lontane, così come i suoi vitigni.

Veduta da Bova (Rc) e vigneto

La Cantina di Bova sorge nei locali di un vecchio frantoio dell’’800 ristrutturato e nel quale si trovano ancora i macchinari originari. E’ una cooperativa di soci nata con lo scopo di produrre vini tipici della zona utilizzando i vitigni autoctoni di pregio che sono presenti nell’areale quali il calabrese o nerello calabrese, e il guardavalle.

Le quattro etichette della Cantina di Bova (Rc) da antichi vitigni autoctoni

Ciò ha permesso nel tempo di salvaguardare le coltivazioni di questi vecchi vigneti per lo più in stato di abbandono e di dare un input all’economia di Bova. Dai circa 16 ettari della cantina nascono quattro belle etichette: il bianco Fengàri da guardavalle e greco bianco, il rosato Marasà da calabrese e i due rossi Ambèli e Scerò da calabrese in purezza; il primo matura 18 mesi in acciaio e affina 6 in bottiglia, il secondo matura 3 mesi in acciaio, 10 mesi in barrique e affina poi 18 in bottiglia.

La Cantina di Bova (Rc)

Altra cantina molto interessante a Bova è quella dei fratelli Traclò: dalla vigna di circa un ettaro coltivata ad alberello senza alcun trattamento, posto a 700 metri tra l’Aspromonte e il mar Ionio, producono quest’unico vino, un IGT Palizzi rosso che hanno chiamato Lanò richiamando il termine greco-calabro di origine dorica che indica il caratteristico palmento, ossia il pigiatoio delle uve.

La cantina dei fratelli Traclò a Bova (Rc)

Concorrono a creare il Lanò diversi vitigni autoctoni a bacca nera come il calabrese, il castiglione, la nocellara e altri a bacca bianca tra cui il guardavalle e la tundhulidda. Pochissime le bottiglie prodotte; nel bicchiere c’è un vino molto piacevole, generoso, raro, fatto come si faceva un tempo e che concentra profumi e sapori di queste terre greche.

Lanò, l’unico vino della cantina Traclò di Bova (Rc)

Bova è anche fantastico cibo tradizionale: la gastronomia della zona richiama, com’è naturale in Calabria, la cucina mediterranea basata soprattutto sull’agricoltura e la pastorizia. Ma qui l’influenza greca è più evidente: dal latte di capra e di pecora nascono ricotte e formaggi come il musulupu[3], prodotto esclusivamente in queste zone aspromontane, diventato PAT regionale. Legato a rituali e simbologie arcaiche, il musulupu assume forme particolari tra cui quella di un seno a più capezzoli o quella della dea madre, segni di prosperità e protezione.

Le tipiche forma di legno di gelso utilizzate per fare il musulupu a Bova (Rc)

Modellato in preziose forme di legno di gelso scolpite a mano e dette “musulupare”, è il formaggio protagonista della Festa delle Palme di Bova, dove si portano in processione delle grandi figure femminili costruite con le canne e le foglie di ulivo sapientemente intrecciate a mano e adornate con fiori, frutti di stagione e proprio il musulupu. Viene consumato per devozione la mattina della festa come ingrediente di una ricca frittata e offerto a tutta la popolazione in piazza dopo la messa, assieme alle ngute pasquali.

Le grandi figure femminili della Festa delle Palme di Bova (Rc) e uno stampo per musulupu

A Bova non si può non assaggiare la lestopitta, il “pane sottile” dei greci di Calabria. Deriva da λεπτός (leptòs), “sottile” e πίτα (pita) “pane”. È una sorta di focaccia fatta semplicemente con acqua, farina, olio e sale, poi fritta e servita calda e croccante, oppure arrotolata e farcita, una volta fredda e ammorbidita. E’ deliziosa accompagnata da salumi e formaggi locali.

La lestopitta, il “pane sottile” di Bova (Rc)

Sempre di tradizione a Bova sono i maccheroni con il sugo di capra, i maccarugna alla vutana o alla boviciana, anch’essi inseriti fra i PAT calabresi: sono i tipici maccheroni fatti a mano conditi con ragù di capra, lo zema, e insaporiti con formaggio grattugiato sempre di capra e peperoncino a scelta. Tra scorci panoramici, piccole e grandi meraviglie di ogni genere, Bova è un paese davvero affascinante che ne ha valso la sua nomina a Gioiello d’Italia.

Vicoli senza tempo del centro storico di Bova (Rc)

Calabria non è solo sinonimo di mare stupendo e chilometri di costa: è un territorio ampio e variegato che ospita veri e propri tesori fatti di una lunga storia e di valenze umane uniche e irripetibili. Venite a scoprire Bova e ve ne accorgerete.

 

Link utili:

FRdigitalsolution – Frshoots

calabriagreca.it

 

[1] La Χώρα του Βούα (Chòra tu Vùa) in greco calabro, nascerebbe secondo la leggenda da una regina greca che dopo aver guidato il suo popolo sul monte Vùa, la rocca del paese, avrebbe edificato la sua inespugnabile dimora. Nel nome appare chiaro il riferimento alla presenza del bue βοός, cioè a una terra adibita al pascolo dei buoi. Secondo altri il nome deriverebbe dal greco medievale boua, ossia “fossa per il grano”.
[2] L’artigianato ha radici davvero lontane e qui una delle sue massime espressioni è la tessitura popolare. Lana, lino, cotone e ginestra fornivano alle tessitrici gli elementi ricavati in maniera naturale, che poi venivano lavorati con il telaio a mano per produrre tessuti che, cuciti a gruppi di tre, formavano le coperte vutane. I disegni più comuni risalgono proprio all’epoca bizantina: il “mattunarico”, il “telizio”, la “greca”, il “greco”, le “muddare” (Fonte: calabriagreca.it)
[3] Il nome musulupu deriverebbe dal greco-albanese e significherebbe “boccone di lupo”; secondo altri deriverebbe dall’arabo maslûc, cioè “derivato dal latte” o “estratto dal latte”.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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