“Bevi se puoi“: le particolari ceramiche rinascimentali da vino che celano uno scherzoso segreto
Le maioliche rinascimentali da vino sono varie, anche se all’epoca bere direttamente da un contenitore non era consueto come per Greci e Romani che utilizzavano invece diversi tipi di coppe ceramiche.
Infatti i vasi potori più importanti erano realizzati in metallo prezioso tra cui oro e argento (come i calici usati nelle messe) oppure in vetro.
Le brocche, ovviamente, contenevano anche acqua o altri liquidi oltre al vino.
Fra le varie tipologie realizzate durante questo periodo, si distinguono per la loro particolarità i cosiddetti “bevi se puoi”.
Nati come strumento di divertimento goliardico in voga sulle tavole dei ricevimenti aristocratici ma anche su quelle delle famiglie più semplici, se ne trovano a forma di ciotola, di coppa, di fiasca anulare, di cestello, di caraffa con sifone; Cipriano Piccolpasso, infatti, nel suo trattato della metà del XVI secolo, a proposito dei bevi se puoi dice che sono “cose che non han regula”[1] nel senso che questi vasi vengono creati in svariati modi e aspetti, richiedendo senza dubbio un lungo lavoro per la loro realizzazione.
I bevi se puoi sono coppe “a inganno” appartenenti al vasellame amatorio utilizzato per intrattenere i commensali; erano creati con più o meno buon gusto, tutti finalizzati a provocare il riso a scapito di un malcapitato che, rispettando il rito del brindisi, doveva bere in questo recipiente all’apparenza innocuo, ma che invece nascondeva lo scherzo, in quanto non permetteva di farlo se non se ne scopriva il modo, sempre macchinoso.
Se ciò non accadeva, si veniva inesorabilmente ed abbondantemente innaffiati di vino.
Dal bevi se puoi era impossibile bere normalmente poiché vi erano buchi ed aperture dalle quali il vino sarebbe uscito alla minima inclinazione.
Il bevitore doveva quindi carpirne il segreto, ingegnarsi per riuscire a bere, scoprendone il funzionamento per accedere al liquido tramite condotti alternativi; i fori, inseriti fra gli spessori della ceramica, erano comunicanti e dovevano essere tappati per evitare di aspirare a vuoto.
Il gioco riusciva se si tappavano quelli giusti e si trovava quello buono da qui aspirare.
Generalmente il foro da otturare era celato nel manico del recipiente: infatti il manico cavo era in comunicazione con l’interno del boccale e il vino vi poteva circolare fino a raggiungere il beccuccio sull’orlo del vaso.
Il tutto, fatto in compagnia, scatenava allegria e ilarità.
Molto spesso i bevi se puoi venivano realizzati per le coppie di giovani sposi che dovevano bere contemporaneamente dai fori, con evidente intento giocoso e ben augurale.
Cupido, fauni ed amorini erano le allegorie che accompagnavano i promessi.
Il primo esemplare italico in maiolica di bevi se puoi è una tazza-scherzo proveniente da Deruta del tardo Quattrocento presente nella collezione Wallace di Londra[2]; questo piccolo centro rinascimentale umbro, più di altri, ha creato esemplari ceramici di questo tipo, come quella conservata presso il Museo del Vino di Torgiano (Pg): si tratta di una coppa amatoria del XVII secolo, decorata con teste di cherubini e grottesche su fondo bianco, o raffaellesche, reca al centro del suo interno un’arma gentilizia anch’essa sormontata da testa di cherubino.
L’abilità del maiolicaro ha giocato con l’alto traforo e la apparente impossibilità dell’attingere, da questo imposta.
Un altro bevi se puoi conservato sempre presso il MUVIT di Torgiano (Pg) è quella di inizio XVI secolo, decisamente più nobile: si tratta della bellissima coppa che per tipo di decorazione, tavolozza ed accostamenti cromatici è ritenuta dal Rackham appartenere al gruppo assimilato alla maniera del famoso Mastro Benedetto da Siena.
Questa ha per decoro una doppia simbologia: finché è poggiata, l’amorino raffigurato all’interno tra delfini su baccellature, dorme tranquillo in un paesaggio agreste; quando invece è sollevata nell’atto del bere, l’amorino è in piedi con cornucopia in mano e strumenti musicali al braccio.
La realizzazione dei bevi se puoi per il consumo del vino ha più di qualche secolo e se ne trovano esempi in tutta Italia; creati da maestranze artistiche per committenti importanti, ebbero però vita breve, fino a perdere il loro prestigio sociale e divenire oggetti a buon mercato ma sempre dall’impronta giocosa, come un altro esempio del XVIII-XIX secolo proveniente da Ariano Irpino.
Bibliografia e sitografia
Vino. Tra mito e cultura, Fondazione Lungarotti, Ed. Skira 2006, pagg. 89-95
www.lungarotti.it/fondazione/muvit/