L’antica tradizione ceramica di Seminara Calabra (RC) diventa espressione di storia, arte e cultura: dai porroni ai cuccumi, dai gabbacumpari ai babbaluti, ecco una serie di particolari ed unici vasellami da vino
Un borgo antico, dietro il quale si intravedono le imponenti montagne dell’Aspromonte, situato tra le pendici interne del monte Sant’Elia e la piana di Gioia Tauro e immerso nel verde degli uliveti: Seminara Calabra è un altro piccolo scrigno di tesori artistici, inaspettatamente bello. Posto sulla costa tirrenica meridionale in provincia di Reggio Calabria, nel Medioevo fu un’importantissima fortezza, i cui resti sono visibili nelle mura di cinta; chiese e palazzi ospitano pregiate opere rinascimentali quali segno tangibile della sua importanza storica e artistica nel XVI secolo.
E’ una realtà nota soprattutto per la secolare produzione ceramica: dal ‘700 questa tradizione ha reso Seminara un centro molto rinomato al pari di Caltagirone, Vietri o Grottaglie; questa attività merita sicuramente molta attenzione, soprattutto perché esprime appieno le caratteristiche di quest’arte popolare del sud Italia, apprezzata sia per il suo valore culturale che per le sue espressioni divertenti e creative, uniche nel loro genere; nelle loro particolari forme, riproducono oggetti arcaici di carattere religioso o votivo, e nelle decorazioni si rinnovano simbologie cristiane.
A Seminara, oltre a grottesche maschere apotropaiche in ceramica, legate al mondo magnogreco e al teatro, considerate amuleti e scaccia mali, si producono utensili d’uso quotidiano e contenitori per il vino, la cui particolarità è dovuta alle loro forme: anfore biansate (lancelle), bottiglie grandi e piccole (vozze e vozzarelle) boccali (cannate) ornati a rilievo (cuccumi), orci abborchiati (porroni a riccio) con pigne lisce.
Si hanno inoltre brocche con ornati a rilievo a forma di carciofo, borracce a forma di ciambella o di pesce o uccello (quest’ultime proprie dei pellegrini della fiera di S. Rocco a Rosarno); brocche con becco (bumbuleji), e altre singolari chiamate “gabbacumpari”, ovvero le “bevi se puoi”, dotate di una serie di fori da dove può bere soltanto chi risolve l’inganno in esse celato. La tradizione bizantina nella ceramica di Seminara è poi presente nelle cosiddette “teste di greco”, tipicamente antropomorfe.
I “babbaluti” (“babbuluti” o “babbuini”) sono bottiglie antropozoomorfe, talvolta munite di un manico nella parte posteriore, di varia grandezza. Piccoli capolavori con un profondo significato popolare, legati a credenze animistiche e religiose che nascono durante il periodo della dominazione borbonica in Calabria, caratterizzato da un forte malcontento; ciò aveva spinto gli artigiani a dar loro un volto che raffigurava, in maniera caricaturale, prima la fisionomia dei gendarmi spagnoli, poi quella dei soldati borbonici, dei signorotti locali e del potente di turno, oppure di personaggi che rimandano a vicende amate dai cantastorie e a una narrativa dalle origini antiche, cioè la bella, il frate, il bandito, il giovane o il vecchio, come dimostrano quelle che si trovano esposte presso il Museo del Vino di Torgiano (Pg). Esemplari di queste ceramiche sono custoditi anche in Calabria nel Museo Etnografico Folklore “Raffaele Corso” di Palmi (RC).
Altro oggetto tipico della produzione di Seminara è poi quella bottiglia a forma di ciambella, una fiasca anulare, che è un soggetto ricorrente nella ceramica centro-meridionale italiana. Si vuole che il successo sia dovuto, o richiesto, dalla possibilità di infilarla al braccio rendendo libera la mano dell’oste come del contadino sul campo, oppure facilmente trasportabile in sella, sulla soma o a tracolla. La loro particolare conformazione poteva simboleggiare il sesso femminile; inoltre, questo tipo di recipienti consentiva di mantenere freschi i liquidi, se immersi nelle acque dei ruscelli o dei fiumiciattoli.
La lavorazione del vasellame a Seminara è stata talmente florida che nel 1746 sono state registrate ben 23 botteghe artigiane e nel 1880 si contavano addirittura 28 fornaci, con relativi mulini a mano per la macinazione degli smalti; vi era un quartiere alla periferia del paese chiamato “Borgo dei pignatari”, detto così per via della concentrazione di queste fornaci, poste lì per limitare i rischi di incendi. Le ceramiche di Seminara venivano vendute lungo le vie dei pellegrinaggi e tramite i “pignatari” che si spostavano di paese in paese per venderle.
Nel ‘900 le botteghe delle illustri famiglie di Seminara, Ferraro e Condurso, divennero quelle maggiormente apprezzate, considerate ancora oggi veri e propri maestri dell’arte ceramica calabrese. Si racconta che la bravura dell’artigiano Paolo Condurso conquistò persino Pablo Picasso, che avendolo incontrato durante un’esposizione in Liguria, a Ventimiglia, disse: “Calabrese hai le mani d’oro”. Volle comprare alcune sue opere che oggi si trovano esposte anche in Francia, presso il Museo Antibes. Condurso è morto nel 2014 e la sua attività a Seminara è ancora viva attraverso il figlio Gennaro, come accade anche per il laboratorio di un altro importante ceramista seminarese, Domenico Ditto.
Lo studioso Guido Donatone[1] dice che “La vivace visione coloristica dei maestri seminaresi trova congeniali espressioni nelle dissonanze dei versi e dei gialli intensi e nelle pacate superfici ambrate del cotto o del paglino ingobbiato”. Grazie alle argille locali e ai processi di lavorazione, si caratterizzano soprattutto per il loro speciale effetto cromatico, che si riscontra difficilmente in altre produzioni artigianali, col predominio di varie tonalità di verde e di azzurro e di un particolarissimo giallo-arancio. Il carattere distintivo più antico e costante della ceramica calabrese è, d’altra parte, costituito dall’adesione alla tecnica dell’ingobbiatura e del graffito, tipiche proprio della tradizione bizantina, in particolare di Squillace (Cz) e Seminara, con una verniciatura ad ossido di piombo, nella quale i tradizionali colori vengono preparati con le apposite macine.
Bibliografia e sitografia
Vino. Tra mito e cultura, a cura di M. Grazia Marchetti Lungarotti e Mario Torelli, Fondazione Lungarotti, Ed. Skira, 2006
Museo del Vino di Torgiano – Ceramiche – Catalogo regionale dei beni culturali dell’Umbria, Ed. Electa Editori Umbria Associati
[1] G. Donatone, Ceramica antica di Calabria, ISVEIMER, 1983
Ho trovato un Babbaluto vorrei sapere se ha un valore o se è antico
Salve Domenico,
queste ceramiche particolari hanno tutte un loro valore. Se vuole sapere quanto valgono in denaro non saprei dirlo.
A presto!