Nato per l’assaggio del vino e diventato poi strumento di lavoro, oggi è un simbolo legato alla promozione e alla comunicazione del ruolo del sommelier: il tastevin

<Tastevin, tazze da vino, cosa siete diventati dopo il vostro pensionamento? Non siete più adatti alle nostre analisi organolettiche più descrittive delle degustazioni dell’epoca passata. Siete fatti semplicemente per apprezzare l’onestà e la franchezza di un vino, per riconoscere “ciò che è leale e ciò che è commerciale”. Siete il ricordo di un’altra epoca. L’amatore del vino vi conserva come un simbolo, l’assaggiatore e il sommelier come un’insegna. Le confraternite enoiche perpetuano il vostro culto. Quali pezzi unici, il vostro posto è dall’argentiere, dal collezionista o nel salotto, sul cassettone stile Luigi XVI.>[1]

E’ così che Émile Peynaud nella sua opera Il gusto del vino parla di quello che oggi non è più uno strumento di lavoro (nonostante in Francia qualcuno lo usi ancora), ma un vero e proprio simbolo di riconoscimento: il tastevin detto anche tasse de dégustation o tâte-vin, quella simpatica coppetta argentea che i sommelier portano legato al collo con una catenella.

Tasse de dégustation: immagine proveniente dal “Dictionnaire encyclopédique de l’épicerie et des industries annexes” par Albert Seigneurie, édité par “L’Épicier” nel 1904, page 258. (Fonte: commons.wikimedia.org)

Il termine deriva dal verbo tâter o tester, cioè “testare, assaggiare, provare, esaminare”[2]. Come oggetto il tastevin è stato studiato per essere non solo funzionale, ma maneggevole e facile da trasportare; garantisce un rapido esame del colore e l’ossigenazione del vino, ma non si riesce ad apprezzarne le qualità olfattive. Inoltre non può essere utilizzato con gli spumanti perché non consente di valutarne il perlage. Per questa serie di ragioni, è stato soppiantato dal bicchiere da degustazione standard[3] di vetro o mezzo cristallo, che invece permette un’analisi molto più accurata delle varie tipologie di vino.

Nell’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert del XVIII secolo, detto “l’età d’oro del tastevin[4], era così descritto: “Tâte-vin, parola utilizzata dai commercianti in vino, attrezzo in ferro bianco, lungo, rotondo e stretto nella parte alta dove è bucato in tutta la sua lunghezza, non ha che un piccolo foro nella parte bassa, lo si utilizza per estrarre il vino dalla botte mettendo il pollice sulla parte finale in alto al fine di impedire che l’aria non faccia scorrere il vino quando è entrato nel piccolo buco[5].

Attualmente ne esistono di due tipi: il tastevin borgognone e quello bordolese. Il primo, adottato da tutte le associazioni di sommellerie, ha la forma di una piccola tazza con ansa e poggia dito (anticamente l’interno era spesso ornato da grappoli e pampini), del diametro di circa 8 cm e profondo 2 cm; ha una grossa bolla centrale, un “ombelico”, denominata “bolla di livello” che delimita la quantità minima del vino, che non deve mai essere superata quando lo si versa. Questa bolla è circondata da altre 14 bolle più piccole in rilievo, che hanno la funzione di ossigenare più velocemente il vino contenuto quando si agita il tastevin.

Tastevin modello borgognone (Fonte: www.fine-wine-accessories.co.uk)

Sul lato sinistro dell’impugnatura ci sono 8 perle concave che servono per l’esame visivo dei vini rossi, meno trasparenti; sul lato destro, poi, sono presenti 17 diciassette nervature incavate, che servono a valutare il colore e la limpidezza di quelli bianchi. Il tastevin bordolese, invece, sembra essere per forma e dimensione il discendente della pàtera, l’antica coppa romana, semplice, liscia e senza ornamenti, che poggia su un piccolo piede di qualche millimetro. Peynaud dice che “non è un semplice cucchiaione ma un sobrio contenitore-presentatore: uno specchio del vino[6].

Tastevin in argento modello bordolese del maestro Gerard Pellat (Fonte: www.artrust.ch)

Di strumenti per l’assaggio ne abbiamo antichissimi esempi in scodelle, tazze incavate in terracotta a forma di coppa, coppetta o cupola, come quella in ceramica ritrovata a Cnosso, oggi conservata al Museo archeologico di Heraklion (Creta) e datata al Minoico medio (XIX-XVII secolo a.C.); grazie all’ansa o all’anello di cui la tazza da degustazione era munita, era possibile immergerla nel cratere o nell’anfora per smuovere ed attingere il vino senza perderla. Anche in un affresco di Pompei della Casa dei Vettii si trovano raffigurati piccoli contenitori in cui dei deliziosi amorini versano il vino dall’anfora e che sembrano proprio dei moderni tastevin.

Tazza a guscio d’uovo ritrovata a Cnosso (Creta), Heraklion Museo Archeologico, XIX-XVII secolo a. C (Fonte: www.geometriefluide.com)
Amorini vinai, affresco della Casa dei Vettii, Pompei, II secolo d.C. (Fonte: www.austinwineguy.com)

Se all’inizio i tastevin erano realizzati in ceramica o cotto, durante il Rinascimento i coppieri li facevano fare in legno o metallo, solo per evitare che si rompessero durante il trasporto a cavallo. Successivamente, anche grazie alle conoscenze scientifiche, fu scoperto che il tastevin doveva essere prodotto in argento o in materiale argentato, perché questo metallo contribuiva a dissolvere l’anidride solforosa contenuta nei vini bianchi giovani.

Quello che conosciamo noi oggi è nato in Borgogna nel XVII secolo; sia la forma che il nome si sono definiti in Francia presso le famiglie borghesi, e il tastevin si diffuse rapidamente tra l’800 e il ‘900. I Borgognoni ne sono diventati i maestri: hanno persino coniugato il verbo tasteviner. La famosa Confrérie des Chevaliers du Tastevin istituita nel 1934 nel cuore della Côte d’Or, promuove da sempre nel mondo i prodotti e la gastronomia della sua regione e ne preserva le tradizioni. Nel 1950, i suoi fondatori ed animatori decisero di aiutare i consumatori a selezionare i vini della Borgogna: questa selezione si chiama Tastevinage. Ogni anno, infatti, organizza questa manifestazione allo Château du Clos de Vougeot e, così facendo, sottolinea il ruolo che ha svolto sin dalla sua nascita, ovvero mantenere alta la qualità di questi grandi vini francesi.

E se volessimo fare un salto nel passato per ammirare antichi esemplari di tastevin, possiamo visitare i musei del vino di Beaune, sempre in Borgogna, o il castello di Suze-la-Rousse nella Drôme che ne espongono un gran numero di diversa manifattura e con diverse bolle.

 

 

Bibliografia e sitografia

Giuseppe Vaccarini, Manuale del sommelier. Come conoscere, apprezzare, valutare il vino e come gestire una cantina, Giunti pag. 156

Émile Peynaud, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, Bibenda, 2002

www.tastevin-bourgogne.com

 

 

 

[1] Émile Peynaud, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, Bibenda, 2002, pag. 115

[2] Nel sud della Francia era chiamato anche tassou, tassot, tassette, tasse à vin.

[3] Creato nel 1971, il bicchiere ISO (International Organization for Standardization) è un bicchiere tecnico approvato dall’INAO (Institut National d’Appellation d’Origine) e conforme alle norme AFNOR (Association Française de Normalisation).

[4] Émile Peynaud, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, Bibenda, 2002, pag. 114

[5] Diderot e D’Alembert, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Art et des Metiérs

[6] Émile Peynaud, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, Bibenda, 2002, pag. 114

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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