La secolare vocazione alla viticoltura della Sicilia è nota da tempi immemorabili fatti di miti e leggende, durante i quali veniva già prodotto, a quanto pare, il vino più antico d’Italia: il Pollio, conosciuto oggi come Moscato di Siracusa
Sicilia, l’isola del vino. Questa splendida regione, grazie alla sua posizione geografica strategica, è stata un importantissimo centro di diffusione della viticoltura e dell’enologia del Mediterraneo, ed il suo patrimonio ampelografico è uno tra i più ricchi al mondo.
Il Moscato di Siracusa, oggi diventato Denominazione di Origine Controllata, col suo color oro, i suoi profumi intensi e caratteristici di miele e frutta secca e il suo sapore dolce e vellutato, nasce da uve di Moscato Bianco sottoposte a un leggero appassimento. Prodotto oggi in quantità ridotte, rappresenta non solo una particolare ed unica espressione enologica dell’isola, ma è da molti considerato il vino più antico d’Italia.
Siracusa fu una polis prospera e opulenta, fra le più belle e famose dell’antichità, che venne fondata nel 734-733 a.C. da coloni greci provenienti da Corinto guidati dall’ecista Archia. Il mito e la leggenda avvolgono la storia del Moscato di Siracusa: nei dintorni della città, in cui l’arboricoltura è ben attestata durante il IV-III secolo a.C., si produceva un vino di qualità dal nome Pollio che avrebbe preso il nome da un certo Pollis argivo, tiranno di Siracusa, la cui storicità è alquanto dubbia.
Lo scrittore greco Ateneo di Naucrati[1] riportando come fonte Hippys, storico di Reggio vissuto nel V secolo a.C., narra che il Pollio si ricavava da una vite di nome Eileos, cioè “che si attorciglia”, chiamata anche Byblinos, importata e impiantata in Sicilia fin dalla prima età arcaica, che fa eco alla tradizione di un vino dolce e mielato originario del Mediterraneo orientale e che secondo Archestrato di Gela[2] e Teocrito[3] migliorava lasciandolo invecchiare nelle anfore.
Dunque il Moscato di Siracusa altro non sarebbe che il Biblino, il cui nome deriva dall’antica città fenicia di Biblo sulla costa del Libano[4], un antichissimo nettare giunto probabilmente dalla Fenicia o della Tracia (alcuni monti della Tracia si chiamavano proprio Biblini), quest’ultima legata al mito della nascita di Dioniso.
A consolidare queste ipotesi c’è anche una lunga lettera del famoso storico ed archeologo ottocentesco Saverio Landolina Nava, indirizzata al signor Canonico Andrea Zucchini. Dopo i suoi accurati studi scrive così: ”…Spero che, dalli miei argomenti appoggiati all’autorità delli Greci scrittori resterete persuaso che il vino Pollio è stato introdotto in Siracusa da un Sovrano Siracusano, da cui prese il nome: che era lo stesso del vino Biblino: che non era debole, nè aspro, né ingrato a bere; ma spiritoso, dolce e soave: Che li versi di Esiodo da me trascritti non sono stati finora interpretati secondo la mente del Poeta, uniforme alla descrizione di Omero, malamente tradotta da altri, li quali non sapevano l’arte di mettere a lievito le uve. Con tali ragioni ho potuto dimostrarvi che il Moscato Siracusano è lo stesso antico Pollio, perché ha le qualità medesime del vino Biblino; e si prepara tuttora a tenore delli precetti prescritti da Esiodo… eccetera”[5].
E’ inoltre da sottolineare che il termine Eileos usato da Hippys indica quindi una pratica molto nota agli agricoltori greci dell’Italia meridionale di sposare la vite a tutori vivi (olmo, pioppo, ulivo, castagno e fico), mentre in Sicilia la coltivazione della vite ad alberello e con potatura corta senza sostegni che sfuttava il calore emanato dal terreno, sembra essere stata la più diffusa.
Fu dunque un vino molto apprezzato e conosciuto in tutti i tempi: dal 1200 in poi entrò nelle prime opere in lingua italiana, a indicare quei vini dolci ed aromatici prediletti dalle classi sociali più agiate in Sicilia; lo troviamo all’interno di componimenti burleschi siciliani del 1500 che ne esaltavano qualità e virtù; le navi del Re Sole approdavano nel porto di Ortigia per rifornirsi di vino Moscato; Giovanni Verga faceva bere ai suoi personaggi “il buon moscato di Siracusa” e Alexandre Dumas inserì i “moscati bianchi” nella sua opera “Il grande dizionario della cucina” (1873) tra i vini liquorosi stranieri più famosi, facendo brindare i moschettieri proprio col Moscato di Siracusa, e facendolo offrire abitualmente agli ospiti del Conte di Montecristo.
Purtroppo, com’è accaduto per altri vini il Moscato di Siracusa, ha risentito molto dell’epidemia della fillossera che alla fine dell’’800 distrusse quasi tutti i vigneti d’Europa. Negli anni ’50 del secolo scorso la tradizione di questo vino era quasi del tutto scomparsa; negli anni ’70 col riconoscimento della DOC si ebbe una leggera ripresa e solo negli anni ’90, grazie ad un gruppo di intraprendenti viticoltori e giovani vignaioli che hanno ripopolato le vigne siracusane con il moscato, questo prodotto è rinato e si sta pian piano rivalorizzando come merita.
Quella dei Moscati è una delle famiglie di vitigni più grandi e variegate tra tutte quelle conosciute. Si tratta anche di una delle varietà più antiche a mondo: la coltivavano i Greci col nome di Anathelicon moschaton, mentre i Romani la definivano uva apiana perché prediletta dalle api per via del suo aroma dolcissimo. Risulta molto debole la tesi secondo la quale attorno al 1200 l’uva apiana avrebbe cambiato il suo nome in Moscato per una associazione tra ape e mosca; soprattutto è molto dubbia l’identità tra l’uva apiana e il Moscato. In realtà il suo nome attuale pare derivare da muscum, muschio, per il forte aroma caratteristico che i francesi chiamano musqué. Attualmente in Italia il Moscato Bianco nelle sue molteplici forme è presente ovunque, in misura maggiore o minore: dal Piemonte all’isola di Pantelleria, questa varietà ha assunto caratteri e denominazioni anche molto diverse. Fuori dall’Italia è chiamato Moscatel Menudo Blanco (in Spagna), Muscat Blanc à Petits Grains, o di Frontignan, o de Lunel, o d’Alsace (Francia), Gelber Muskateller (Germania), Moskuti Samos (Grecia), Tamiiooasa (Romania). Il Moscato Bianco è ben distinto dal Moscato Giallo e dal Moscato di Alessandria (chiamato anche Moscatellone Bianco, Zibibbo, Muscat d’Alexandrie, Muscat Gordo Blanco e Salamanna) coltivati in altre parti d’Italia e all’estero. Alcuni moscati a frutto rosa, rosso o violetto (presenti solo sporadicamente in Italia) sono forme di Moscato Bianco mutate nel colore della buccia dell’acino.
Il grappolo a maturità è di media taglia, cilindrico, un po’ allungato, alato, mediamente compatto o compatto (spargolo quando si verificano fenomeni di colatura talora in conseguenza di malattie da virus). L’acino è di grandezza media e di forma sferoidale o leggermente appiattita; la buccia è sottile, non molto pruinosa e di colore giallo verdastro che diviene giallo dorato o ambrato quando è ben esposta al sole. La produzione è buona e costante e alla maturazione (in epoca precoce o medio-precoce) l’uva è soggetta all’attacco di vespe e altri insetti, per via dell’aroma dolce della bacca. La vendemmia solitamente si effettua nella seconda decade di settembre.
Bibliografia e sitografia
Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore, pagg. 297-299
Archeologia della vite e del vino n Toscana e nel Lazio. Dalle tecniche dell’indagine archeologica alle prospettive della tecnica molecolare, a cura di A. Ciacci, P. Rendini, A. Zifferero, Quaderni del Dipartimento di archeologia e storia delle arti – sezione archeologia, Università di Siena, pag. 341
www.winetaste.it
www.moscatiblundo.it
www.cronachedigusto.it
Inx.cantinegulino.it
[1] “Hippys di Regio dice che la vite detta eileos si chiamava biblia e che per primo la introdusse in Siracusa dall’*Italia l’argivo Pollis, che regnò in Siracusa” (Deipnosofisti, I, 31b). A tal proposito va notato che quell’argivo Pollis, posto in rapporto col vino Pollio Siracusano (ELIANO, varia hist., XII, 31, e POLLUCE ,VI, 16, da ARISTOTELE) e divenuto re a Siracusa, doveva essere collocato cronologicamente nel periodo in cui sorse, con elementi dorici, la colonia, poi detta corinzia, di Siracusa o poco dopo; e che, al posto di *Italia, come luogo di origine della vite biblia, dobbiamo probabilmente leggere coll’Etymologicum Magnum (197, 33) , tenendo presente i dati esiodei (Opere e giorni, 589) e di Epicarmo (fr. 174 K.)
[2] Deipnosofisti, I, 29b-c
[3] Idyllia, 14,55
[4] In fenicio Gbl, in accadico Gublu e in greco Byblos, oggi chiamata Jbeil
[5] Il siracusanissimo Pollio, Alfio Bruno, Aracne Editrice, pag. 9