Le stelle del vino: tra gli astri del cielo che raccontano bellissimi miti e leggende c’è posto anche per affascinanti storie legate al magico mondo di questa bevanda: le costellazioni di Icario, Erigone e Maira

Cosa c’entrano le stelle con il vino? Per chi non è ferrato in astronomia come me, apparentemente niente.

Invece esistono molti legami e molte storie interessanti che intercorrono fra il cielo e il frutto della vite. Scopriamole assieme.

Le versioni del mito che narrano le vicende di Icario e quelle dei personaggi a lui connessi (di cui ho parlato a proposito del dono della vite in “Dioniso e il primo simposio”), sono un po’ diverse fra gli autori che lo trattano, ma vediamo come viene sviluppato in relazione al mondo astronomico.

Benché Eno re di Calidone fosse il primo mortale a cui Dioniso donò una pianta di vite secondo il racconto di Apollodoro (Bibl. I, 8, 1 ss.), Icario lo precedette nell’arte della vinificazione.

Icario (᾿Ικάριος) non era un re, ma un uomo benestante che abitava nell’Attica, sotto il re Pandione.

Quando Dioniso arrivò qui fu accolto cordialmente da Icario e il dio, per ricambiare la sua ospitalità, gli regalò un tralcio di vite, insegnandogli l’arte della sua coltivazione e come ricavare il vino dai frutti della pianta.

Quando venne il tempo della vendemmia, Icario ottenne una bevanda squisita che volle condividere con gli altri. Iniziò a camminare attraverso i campi, offrendo da bere a tutti.

Un giorno passò nei boschi di Maratona presso il monte Pentelico dove erano alcuni pastori, e offrì anche a loro da bere;

nonostante gli avvertimenti di Icario sugli effetti del vino quando se ne beve troppo, i pastori ingordi ne bevvero così tanto da ubriacarsi.

Non conoscendo gli effetti del vino, credettero che Icario li avesse avvelenati e si misero alla ricerca dell’uomo, e una volta trovato, per vendicarsi, lo aggredirono fino ad ucciderlo (secondo lo Pseudo-Plutarco tramite lapidazione, secondo Igino tramite bastonate).

Solo dopo capirono quel che avevano fatto: pentiti e spaventati, nascosero il corpo di Icario nel bosco sotto ad un pino[1] ma senza curarsi di dargli una degna sepoltura.

Icario aveva una figlia di nome Erigone (Ἠριγόνην). Secondo la versione di Nonno di Panopoli[2], la fanciulla, non vedendo tornare il padre, iniziò a preoccuparsi.

Durante la notte le apparve l’ombra di Icario, lacerata ed imbrattata di sangue, che le raccontò l’accaduto.

Erigone che amava molto suo padre, andò alla ricerca del suo corpo assieme al suo fedele cane, Maira (Μαῖρα), per dargli la sepoltura che meritava.

Arrivata nel bosco cominciò a cercarlo e solo dopo molte ore riuscirono a trovare la salma di Icario.

Dopo aver compiuto il doloroso rito che il padre le aveva affidato, Erigone, ormai rimasta sola al mondo e presa dalla disperazione si impiccò.

Maira si mise ad abbaiare furiosamente, come per chiamare aiuto, poi si accucciò ai piedi dell’albero dove la padrona era morta, e si lasciò morire di fame[3].

Igino nelle Fabulae[4] racconta che dopo che Erigone si tolse la vita ”il padre Libero (Dioniso), adirato, inflisse analoga pena alle figlie degli Ateniesi.

Essi consultarono l’oracolo di Apollo riguardo a questi fatti. E ai padri Ateniesi fu risposto di non dimenticare la morte di Icario ed Erigone.

In seguito a questo responso, essi fecero scontare ai pastori il loro delitto e istituirono un giorno di festa in onore di Erigone per espiare l’epidemia di impiccagioni e affinché, durante la vendemmia, si dedicasse la prima libagione ad Icario ed Erigone”.

Da ciò vennero istituite le Aiòra[5].

Il vino diventa così parte della meravigliosa storia delle stelle: si narra che gli dèi, impietositi per questa triste e tragica storia, trasformarono Icario nella costellazione boreale di Boote, Erigone in quella della Vergine e Maira in quella del Cane Minore.

Posta nelle vicinanze della coda dell’Orsa Maggiore, Boote è nota anche come “il Bifolco” o “il Bovaro” dal greco “boutes”: esso stava ad indicare il custode dei sette buoi (in realtà sarebbero le sette stelle della costellazione dei Canes Venatici) che trainavano il Grande Carro, ma è probabile che il nome derivi da una trasposizione della parola sumera riv-but-san, ossia “l’uomo che guida il grande carro”[6].

La sua stella più brillante, nonché la quarta più brillante di tutta la volta celeste, è Arturo, dalla parola greca “arktouros” che significa “guardia dell’Orso”[7].

Le costellazioni del Boote e della Corona Boreale (invertite) illustrate da Johann Hevelius (Fonte: it.wikipedia.org)

La costellazione zodiacale di Erigone e cioè della Vergine (Virgo), visibile in primavera e in estate, è attraversata dal Sole tra settembre e ottobre, quando il Sole stesso attraversa l’equatore celeste da nord verso sud (equinozio d’autunno).

Essa contiene al suo interno la stella Vindemiatrix, il cui sorgere, in tempi antichi, indicava il periodo della vendemmia.

La costellazione della Vergine rappresentata da Gerardo Mercatore (Fonte: it.wikipedia.org)

Questa stella ha un chiaro legame col vino e un mito tutto suo.

Il giovane Ampelo[8] (dal greco Αμπελος, “vitigno, vite”) fu il primo amore di Dioniso che morì accidentalmente cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito oppure da una vite sulla quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d’uva, a seconda della versione mitologica.

Nella prima variante, riportata da Nonno di Panopoli, Ampelo fu trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino.

Ovidio, oltre a precisare che Ampelo era figlio di un satiro e di una ninfa, racconta invece che Dioniso e il suo amato vivevano sui monti Ismari, in Tracia;

il dio aveva affidato ad Ampelo un rampicante che pendeva dalle foglie di un olmo.

Il giovane, arrampicatosi sull’albero per cogliere il frutto del rampicante, perse l’equilibrio e morì nella caduta: la pianta prese così il nome di “vite”, e Dioniso, addolorato, tramutò il giovane proprio nella stella Vindemiatrix.

La stella Vindemiatrix nella costellazione della Vergine, Sidney Hall- Urania’s Mirror – Virgo (Fonte: en.wikipedia.org)

Infine, la piccola costellazione dell’emisfero boreale del Cane Minore (Canis Minor) consiste principalmente di due stelle, ProcioneGomeisa.

Procione (prokion in greco) significa letteralmente “prima del cane” poiché sorge prima di Sirio che è la Stella del Cane (Cane Maggiore);

il periodo migliore per la sua osservazione nel cielo serale ricade nei mesi compresi fra dicembre e maggio.

Il Cane Minore in Uranographia di Johann Bode. Sul suo corpo c’è la stella brillante Procione (Fonte: it.wikipedia.org)

 

Bibliografia e sitografia

Robert Graves, I miti Greci. Dèi ed eroi in Omero, pagg. 236-237

Il mito di Icario ed Erigone, Dissertazione finale. Candidata: Beatrice Bonino; Relatore: Giulio Guidorizzi; Università degli studi di Torino, Corso di laurea in Lettere Antiche e Medioevali – A.A.  2012-2013

www.treccani.it

www.astronomiamo.it

it.wikipedia.org

 

[1] L’Astronomo Igino nella sua opera De Astronomia del I secolo d.C. invece, presenta una versione alternativa: narra che alcuni dei pastori, vedendo gli altri muoversi convulsamente per l’ebbrezza, credendo che Icario li avesse avvelenati per rubare loro le pecore e portarle nel suo paese, lo avrebbero gettato in un pozzo.
[2] Nonno di Panopoli, Dionysiaca 47.34-264
[3] Secondo Igino fu Maira che, ululando come se piangesse la morte del padrone, ritornò da Erigone reggendo fra i denti la veste di Icario e la condusse al cadavere. Sopraffatta dalla solitudine e dalla povertà, dopo aver pianto molte lacrime sotto quell’albero dove pareva essere sepolto il genitore, si impiccò e il cane le offrì, come sacrificio funebre, la propria vita (Igino, De Astronomia, II 4. 2-7)
[4] Igino, Miti, CXXII e CXXX, a cura di Giulio Guidorizzi, Biblioteca Adelphi, Milano 2000, pagg. 83-84 e 91-92
[5] Celebrate durante il terzo giorno della principale ricorrenza in onore di Dioniso, le Ἀνθεστήρια, le Αἰώρα o Αἰῶραι erano feste ateniesi in cui si facevano oscillare delle bambole, cantando una canzone in cui era invocata ‘Αλῆτις. La leggenda eziologica riporta l’istituzione della festa ad un oracolo, per cui s’impiccarono dapprima delle fanciulle, poi delle bambole per placare l’ira divina, causata dal suicidio per impiccagione (αἰωρεῖσϑαι) di una giovinetta errabonda (ἀλῆτις) che con tutta probabilità era, appunto, Erigone.
[6] Infatti secondo Igino (Astronomica II 4. 2-7), quando Icario ricevette il vino dal padre Libero (Dioniso), subito ne caricò gli otri pieni su un di carro.
[7] La mitologia racconta anche un’altra versione della nascita di questa costellazione, cioè quella di Arcade, ma lasciamola da parte.
[8] Dal suo nome deriva anche l’ampelografia, la disciplina che studia, identifica e classifica le varietà dei vitigni. In suo onore è stato chiamato anche un asteroide, il 198 Ampella scoperto nel 1879.

 

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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