Il McDonald’s degli antichi Romani: se pensate che i fast food e le tavole calde siano un’invenzione americana, sbagliate
I cosiddetti “cibi veloci” sono nati all’inizio del XIX secolo in America: locali o chioschi ambulanti servivano piatti preparati in modo rapido per una immediata consumazione.
Nell’epoca dell’industrializzazione e con la fioritura delle fabbriche, le persone che lavoravano gran parte della giornata avevano bisogno di consumare pranzi veloci durante la breve pausa, in modo da poter rientrare subito al lavoro.
Ma se torniamo indietro nel tempo, luoghi di ristoro dove si servivano bevande e piatti caldi, esistevano già presso gli antichi Romani: i thermopolia.
In questi era possibile acquistare bibite e cibi pronti per il consumo; il nome deriva dal greco ed è composto da ϑερμός “caldo” e πωλέω “vendere”.
I Romani erano soliti pranzare fuori casa (il prandium era il pasto di mezzogiorno) e così si fermavano presso queste strutture attrezzatissime.
Erano di piccole o medie dimensioni, con un bancone in muratura vicino all’ingresso che dava sulla strada, spesso rivestiti di marmi colorati disposti ad opus incertum o a lastroni simmetrici, nei quali erano incassate delle grandi anfore di terracotta, i cosiddetti dolia, che contenevano le vivande.
Spesso poi, negli ambienti retrostanti era possibile sedersi e consumare, e trovare anche bevande fredde e altri generi di conforto.
Possiamo considerarli gli antenati dei moderni bar, fast food e tavole calde.
Oggi abbiamo la fortuna di conoscere e vedere come erano fatti soprattutto grazie ai rinvenimenti delle grandi aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Ostia Antica.
Nella prima sono stati ritrovati moltissimi thermopolia, ben 89.
Tra quelli più grandi e ben conservati ci sono la Caupona di Asellina e il Thermopolium di Lucius Vetutius Placidus, entrambi situati su Via dell’Abbondanza.
La Caupona (tavola calda con alloggio), era una vera e propria stazione di sosta, dove si poteva mangiare e intrattenersi con le prostitute al piano superiore;
queste signore erano così importanti da firmare con i propri nomi le raccomandazioni per le campagne elettorali, suggerendo i nomi di alcuni candidati alle principali cariche municipali, come si evince dai manifesti elettorali sulle pareti del locale.
In questo edificio sono state ritrovate molte suppellettili appartenenti al servizio di ristorazione (vasi a forma di gallo o a botte, anfore, una caldaia di bronzo chiusa ermeticamente ed ancora piena d’acqua);
il Thermopolium di Lucius Vetutius Placidus, è famoso per il larario affrescato (il posto riservato nella casa romana al culto domestico) con una edicola votiva raffigurante l’officiante affiancato dai Lari danzanti e sui lati Mercurio (dio del commercio) e Bacco (dio del vino) e, accanto ad un altare cilindrico, due serpenti agatodemoni[1].
Inoltre in questo esercizio commerciale, è stato ritrovato un mucchietto di monete pari a circa 3 kg del valore di 680 sesterzi, che era l’incasso della giornata; molto bello anche il bancone decorato con marmi colorati di recupero e munito di ben sei dolia incassati.
Ad Ercolano i thermopolia sono posti alla confluenza di due grandi strade, vicino ad una fontana pubblica e accanto all’ingresso di un edificio pubblico molto frequentato, come le Terme o il Foro.
Il più grande e ricco è posto dinanzi all’ingresso della Palestra; la bottega ha due porte d’accesso: la più grande affaccia sul decumano inferiore, la più piccola sul cardo.
Il bancone per la vendita è posto all’interno del locale e non è allineato con l’ingresso, in modo da consentire ai clienti di ripararsi.
Esso è a doppio podio ed è interamente rivestito di marmi policromi.
All’interno del bancone sono collocati otto doli, utilizzati ad accogliere cereali e legumi secchi, nonché vino e altre bevande calde e fredde.
Interessante anche un altro locale, chiamata bottega ad cucumas, vista la sua insegna che raffigura quattro brocche di colore diverso per la scelta delle varie bevande, alle quali è dato anche un prezzo variabile da 2 a 4 assi e mezzo;
al di sotto c’è l’iscrizione in lettere rosse “NOLA”, quale annuncio di uno spettacolo.
Ad Ostia Antica si trova una locanda su Via di Diana e databile al III secolo d.C.:
provvista di tre ingressi, che all’interno ospita tre vani, di cui quello di mezzo è il principale.
Prima di entrare nel locale c’è un bancone a tre piani dove venivano poggiate le vivande per i clienti che andavano di fretta;
sotto il bancone, una vaschetta per lavare le stoviglie. La sala interna, arricchita da affreschi contiene un altro bancone per l’esposizione dei piatti e sopra di esso una natura morta;
c’era infine la cucina con un fornello e dei dolia interrati dove si tenevano al fresco acqua e vino; nel retro una piccola corte con fontana e sedili in muratura che invitava gli ospiti a mangiare fuori nei mesi più caldi.
Sempre in quest’area archeologica sono presenti tre Cauponae:
quella di Fortunatus, che probabilmente era un locale destinato alla vendita di bevande per via del mosaico pavimentale con un cratere inquadrato da un’iscrizione che invita a bere vino se si ha sete; quella di Alexander Helis, che ha un mosaico raffigurante una danza grottesca, una Venere con amorino e due lottatori nudi, e quella del Pavone che prende il nome da uno degli eleganti affreschi con cui è decorata.
[…] l’elenco delle mansiones (posti di tappa), mutationes (cambio di cavalli o di carrozze), tabernae (locande), cauponae (osterie), distanze e alcune informazioni geografiche (ponti, guadi, valichi, porti, […]
Incredibile come questo popolo fosse già così avanti pur non disponendo di tutte le conoscenze è tecnologie che abbiamo oggi.Interessantissimo quest’articolo.Complimenti.
Grazie mille, Antonio! Eh si, gli antichi ne sapevano una più del diavolo 😉