Es, il Primitivo di Manduria di Gianfranco Fino: ecco come nasce un’eccellenza enologica d’autore

Vini che diventano storia. E’ il caso del Primitivo DOC nato dalla maestria di Gianfranco Fino (www.gianfrancofino.it) enologo e viticoltore in quel di Manduria, in provincia di Taranto. Grazie a competenza ed impegno, ha raggiunto in poco tempo altissimi livelli qualitativi, osannato dalla critica ed amatissimo dal pubblico intenditore. Probabilmente un vitigno autoctono pugliese non è mai stato così valorizzato come in questo vino. Un legame carnale con la propria terra e le proprie radici, grande amore e tanto sano lavoro, sono gli ingredienti di questo prodotto, punta di diamante della cantina: Es, il nome freudiano che racchiude proprio il principio del piacere e della passione pura, sensazioni ed emozioni che scaturiscono fin dal primo sorso, posso confermarvelo.

Es ed Es Più Sole

Il Primitivo deve il suo nome alla precocità di maturità dell’uva. Le origini sono incerte, anche se qualcuno ritiene che l’introduzione in Puglia risalga al periodo della colonizzazione fenicia oppure che sia stato importato dagli Illiri più di duemila anni fa; altri sostengono che sia stato introdotto nella zona di Gioia del colle da frati benedettini venuti dalla Borgogna nel XVII secolo. Quello che è certo è che alla fine del Settecento era già conosciuto con questo nome nelle campagne pugliesi; il merito va attribuito al primicerio don Francesco Filippo Indellicati che contribuì alla diffusione del Primitivo dopo averlo trovato e selezionato all’interno di vecchi vigneti della zona di Gioia del Colle.

La presenza di queste piante originarie lascia intendere che il vitigno fosse coltivato da parecchio tempo. Durante la successiva diffusione ottocentesca nelle terre del Salento, il primitivo è chiamato anche Zagarese o Sagarese, anche se con questo termine spesso erano indicate varietà differenti. Sul finire del XIX secolo si registra l’inizio della grande diffusione del vitigno nella provincia di Taranto. In tempi più recenti è sorto il problema della sua somiglianza con altre varietà coltivate nel mondo: tutto ha avuto inizio nel 1968, quando il professor Goheen dell’Università di Davis (California), trovandosi nei dintorni di Bari, scorse nei vigneti della zona piante molto simili allo Zinfandel coltivato in California fin dal XIX secolo.

I lunghi e complessi studi successivi compiuti dall’università americana, ma soprattutto dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto, hanno portato alla conclusione che Primitivo e Zinfandel sono lo stesso vitigno, un vitigno che, in quanto appartenente alla vitis vinifera, è certamente di origine europea, ma resta da capire come la pianta sia arrivata in California; si è inoltre riscontrato un legame di parentela stretto con due varietà coltivate sulle coste della Dalmazia, il Plavina e il Plavac Mali, che tra loro invece non mostrano questo legame. Inoltre, sempre secondo gli studi dell’università californiana, risulta che il profilo dello Zinfandel, e quindi del Primitivo, coincida con quello di un altro raro vitigno dalmata, il Crljenak Kastelianski.

Il grappolo del primitivo è di taglia media, lungo, di forma conico-cilindrica, mediamente compatto e provvisto di una o due ali. Gli acini sono sferici e di media grandezza, con una buccia molto pruinosa, di medio spessore e di colore blu scuro. Sembra che il biotipo coltivato a Gioia del Colle mostri parecchie differenze morfologiche rispetto a quello coltivato nel Tarantino, riscontrabili anche nella diversità dei vini prodotti nelle due zone.

Tutte le fasi dell’andamento vegetativo del Primitivo sono precoci: le uve generalmente sono vendemmiate tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. I racemi sono il secondo frutto che alcune varietà sviluppano in quantità rilevante sulle femminelle. Questi frutti di seconda generazione maturano a distanza di venti giorni dalla vendemmia dei grappoli primari e pertanto sono raccolti e vinificati in una fase successiva, rappresentando una seconda opportunità per migliorare o addirittura recuperare gli eventi negativi occorsi nella prima vinificazione.

Gianfranco Fino e le terre dell’Es (Fonte: www.gianfrancofino.it)

L’Es nasce da vigne vecchie di almeno 60 anni (dunque con rese molto basse) allevate ad alberello su un suolo di terra rossa, prodotto di grande personalità e con una forte identità, che sosta 9 mesi in legno ed altrettanti in bottiglia. Dall’incontro e conoscenza con Luigi Veronelli, per Fino nacque l’idea di occuparsi di vino a livello imprenditoriale; dal 2004 ad oggi conduce circa 20 ettari di terreno, tra vigneti di proprietà e in affitto, in un regime di biologico e biodinamico.

Accanto a lui sua moglie Simona, che definisce “compagna di vita e di vite”: assieme hanno seriamente contribuito alla rinascita di un territorio sul quale hanno investito tempo ed energie, e attraverso una rivalorizzazione culturale, ne sono diventati espressione di artigianalità e qualità estrema. E proprio in virtù di ciò, recentemente, l’azienda ha infatti dichiarato di abbandonare la Denominazione di Origine. Il motivo sarebbe da individuare nelle decisioni prese dal Consorzio di tutela del Primitivo di Manduria, contrarie alla loro politica e filosofia produttiva.

Pertanto, troveremo sulle bottiglie il marchio Igt Salento Primitivo. Altra etichetta, molto amata, è Jo, un Igt Salento Negramaro (“Jo” da mar Jonio, il mare che bagna le coste di Manduria, e “Jonico” inoltre è uno dei sinonimi del Negramaro, vitigno autoctono per eccellenza del Grande Salento).

Le terre rosse e le vigne vecchie coltivate ad alberello di Gianfranco Fino (Fonte: www.gianfrancofino.it)

Ho avuto il piacere (e la fortuna!) di degustare qualche mese fa l’Es durante l’evento romano de “I migliori vini italiani” di Luca Maroni. Un vino che ha sicuramente rispecchiato le mie curiosità e aspettative: Primitivo in purezza, con i suoi imponenti 16,5 gradi esprime appieno tutta la vigoria della calda Puglia; nel bicchiere spicca un bellissimo rubino scuro, mentre al naso è un ventaglio di profumi ampi: dai frutti rossi confetturati, ciliegie, more e prugne, ai richiami del mirto e della macchia mediterranea, che si intrecciano a note speziate, tostate e dolci di cacao e liquirizia; in bocca è intenso, tannini piacevolissimi, sapido e fresco, un gusto molto pieno e lungamente persistente.

Insomma un vino che anche descritto risulta un’opera d’arte, di gran classe, elegante e fine, capace di esaltare ottimamente con i suoi dettagli il terroir pugliese. Altra grande esperienza gustativa è stata poi l’Es Più Sole, una tiratura limitata che nasce dall’appassimento delle uve sulla pianta con 9 mesi di maturazione in legno di rovere francese. Cosa dire? Un concentrato di profumi e sensazioni ancora più emozionante del primo, ma in versione dolce.

Es ed Es Più Sole: niente di più.

 

 

Bibliografia e sitografia

Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore, pagg. 385-387

www.gianfrancofino.it

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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