La Nascetta e l’eleganza di un vino bianco delle Langhe
Non è possibile innamorarsi di un solo vino per chi ama berlo e conoscerlo a 360 gradi, costantemente “tentati” dal vastissimo panorama enologico (italiano, soprattutto) con tutte le sue peculiarità, che inevitabilmente fa sì che alcuni più di altri ti restino nel cuore. A me è successo con il Nascetta. E’ ormai storia che il Piemonte sia una regione di grandi vini rossi, ma anche i bianchi nel loro piccolo ne delineano il carattere elegante e raffinato, proprio come questo, diventando espressione della ricchezza ampelografica di un territorio in cui formalmente regna imperterrito sua maestà il Nebbiolo.
Quasi estinto e poco conosciuto, questo vitigno autoctono semiaromatico a bacca bianca è davvero molto particolare. E’ stato “salvato” grazie alla lungimiranza di alcuni viticoltori locali, tra cui Elvio Cogno, scomparso circa un anno fa, e considerato uno dei patriarchi del Barolo e del Nascetta.
Nascetta, anascetta, nas-cëtta (pronunciata separando foneticamente la “s” dalla “c” e con la “e” muta) sono le tre varianti dialettali di questo raro vitigno piemontese, coltivato pressoché unicamente nel comune di Novello, in Langa. Le cronache vitivinicole locali della seconda metà dell’Ottocento già ne parlavano, ma la storia di questa varietà, come quella di molti altri vitigni “sopravvissuti”, è legata ai racconti orali degli anziani del luogo, nel nostro caso proprio di Novello.
Non è esclusa un’origine più antica mediterranea, ma qui le ipotesi si fanno illazioni: alcuni lo darebbero imparentato con i Vermentino (studi ampelografici in effetti ne avvicinano le caratteristiche), altri con il Nasco sardo, da cui però differisce in modo più netto. In tempi recenti, dopo una lunga parentesi di oblio, il Nas-cëtta (usiamo la denominazione invalsa a Novello) è stato ripreso con una certa convinzione, dapprima dall’azienda Cogno e poi da altre realtà, con un certo successo anche in termini commerciali.
E’ un vitigno “monocomunale”, coltivato quasi esclusivamente nel paese di Novello, centro della Langa a poca distanza da Barolo e Monforte. Per un certo tempo è stato anche un vitigno “monoaziendale”, nel senso che veniva allevato da una sola realtà produttiva di Novello. Un tempo era diffuso in un’area più ampia che arrivava fino a Mondovì. Il grappolo è medio-grande, cilindrico, con una o due ali, compatto; l’acino è di grandezza media o medio-grande, di forma sferoidale o ellissoidale, con buccia di medio spessore e di colore giallo o giallo dorato.
La maturazione dell’uva è medio-precoce e cade circa nella seconda decade di settembre. Vitigno tanto raro quanto qualitativamente rilevante, il nas-cëtta è impiegato esclusivamente per la vinificazione e quasi sempre in purezza. Dimostra di reggere bene il passaggio in legno piccolo e ha buone proprietà longeve.
“Uva delicatissima e vino squisito”: è così che venne definita; è molto difficile da coltivare, con produzioni che possono essere abbondantissime come poverissime. Questo il motivo che ha portato all’abbandono quasi totale della sua coltivazione, a vantaggio del nebbiolo. Resisteva, ma in pochissimi filari, fino a quando agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, proprio Cogno assieme ad altri produttori di Novello, stapparono alcune bottiglie di Nascetta del 1986 in occasione di una degustazione con un giornalista.
Ciò fece la fortuna di questo vino, che invecchiando aveva evidenziato caratteristiche uniche e venne paragonato ad un Sauternes; fu così che la coltivazione venne rimessa a regime e negli anni successivi entrò prima nella DOC Langhe, mentre poi gli venne attribuita la denominazione con il nome di “Langhe Nas-cetta del Comune di Novello” la cui produzione è autorizzata solo all’interno di questo comune, utilizzando uve Nascetta al 100%.
Grazie alla qualità e alla forte personalità, questo prodotto ha saputo imporsi nel panorama vitivinicolo della regione diventando uno fra i grandi bianchi del Piemonte. Ho potuto constatare la bontà della Anas-Cëtta di Elvio Cogno (www.elviocogno.com/it/): un vino dal colore giallo paglierino con riflessi dorati, profumi di fiori e di frutta intensi (mela, agrumi, frutti tropicali) ed erbe aromatiche come salvia e rosmarino; in bocca il gusto è pieno e sapido, mentre ritorna la freschezza delle erbe con una nota dolce che sa quasi di miele.
Ed ora aspetto il prossimo riassaggio, con amore. Cin!
Bibliografia e sitografia
Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore, pag. 309