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Tra terra e mare di Calabria: ‘nduja vs sardella

Sardella caviale calabrese

‘Nduja e sardella, i simboli gastronomici (e non solo) della Calabria accomunati da antiche tradizioni, ingredienti poveri e gusto piccante

La ‘nduja di Spilinga, il salame “spalmabile”

La ‘Nduja di Spilinga, il salame spalmabile (Fonte: www.gqitalia.it)

 Spilinga, piccolo comune calabrese in provincia di Vibo Valentia, è ormai considerata la città natale di questo particolare prodotto.

In un territorio posto tra le pendici del monte Poro e la Costa degli Dei, nasce questo insaccato preparato con le parti grasse del maiale (lardello, guanciale e pancetta) e con una bella manciata di peperoncino:

ingredienti che gli conferiscono il classico sapore piccante e una consistenza tale da renderlo spalmabile a differenza di altri salumi.

Il peperoncino ne esalta inoltre le proprietà antisettiche e antiossidanti e fa sì che la ‘nduja non abbia bisogno di conservanti, ed in passato ha rappresentato un alimento fortemente energetico e terapeutico, diffuso soprattutto nel mondo contadino.

Le parti selezionate vengono tritate molto finemente, impastate ed amalgamate lentamente per ottenere un impasto omogeneo e cremoso;

salato e insaccato nel budello cieco (detto “orba”), viene infine affumicato con legna resinosa e aromatica come l’ulivo, e messo ad asciugare e a stagionare per esaltarne il sapore deciso ed il caratteristico profumo.

La ricetta, oggi, è ovunque la stessa, anche se, in alcune zone, agli ingredienti base vengono aggiunte le cotiche bollite tagliate a pezzettini.

L’origine della nduja è ipoteticamente fatta risalire alla dominazione spagnola del XVI secolo (assieme al peperoncino), ma il nome ricorderebbe invece il termine francese andouille cioè “frattaglie”, un insaccato importato nel periodo napoleonico (1806-1815);

anche se potrebbe trattarsi soltanto di una somiglianza etimologica, sembra infatti che Gioacchino Murat, viceré di Napoli e cognato di Napoleone, abbia ordinato la distribuzione gratuita di un salame simile alla ‘nduja per ingraziarsi i Lazzari dello stato partenopeo.

Alcuni ritengono invece che derivi dal termine latino inducere, cioè “introdurre”. E’ squisita spalmata su bruschette di pane oppure come condimento di ragù o sughi, ottima con i fusilli calabresi, i “fileja”.

La sardella di Crucoli, il caviale calabrese

La sardella di Crucoli, “il caviale calabrese”

 Mario Soldati consigliava di gustare questa prelibatezza nostrana “…usando una foglia di cipolla dopo l’altra, come grosso cucchiaio che s’immerge… e si mangia assieme ad essa”.

La sardella, conserva ittica piccante, saporita ed aromatica diffusa nel Mediterraneo, probabilmente, proprio come la celebrata “colatura d’alici” di Cetara, discende dal garum (LINK). 

Questo era la mitica salsa da condimento dell’antica gastronomia romana, risultato della macerazione di un composto a tre strati: pesci grassi, sale, spezie ed erbe aromatiche.

E’ una specialità che vanta origini contadine e una tradizione secolare, soprannominata “caviale calabrese” a sottolinearne il pregio, senza tuttavia tralasciare le sue origini povere.

I suoi ingredienti sono poeticamente definiti come “simbiosi di mare e di terra, di acqua e di sole”.

Conosciuta anche come rosamarina, bianchetto o nudilla, quella di Crucoli, piccolo paese del litorale ionico in provincia di Crotone, si differenzia dalle altre in quanto non vengono utilizzati i bianchetti, ma neonata di sarde (sardina pilchardus) o di alici di pochi centimetri, pescata rigorosamente nel periodo di marzo-aprile.

Viene lavata con acqua dolce e posta ad asciugare con un po’ di sale; effettuata poi la salagione, in strati alterni di sardella e sale nei “tarzaruli” o “salaturi” (tradizionalmente di terracotta), assieme a cime di finocchio selvatico (meglio se silano), è lasciata stagionare, impastata a mano con sale, dosi massicce di peperoncino in polvere e semi di finocchio selvatico.

Da grigio-biancastra che era, la sardella assume così la sua tipica colorazione rosso scuro e una consistenza cremosa a mo’ di mousse, pronta per essere gustata come ripieno per le “pitte” o semplicemente condita con olio d’oliva e spalmata sul pane.

Le “pitte” con la sardella

 

Fonte: Patto in cucina – Prodotti Agroalimentari Tradizionali Tipici Originali per la salute

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2 commenti

  1. Mai saggiata,ma da come ho letto che si prepara,non sarà troppo salata?….
    Qualcuno la commercializza per provarla?

    1. Cara Mariaelena, il sale c’è, ma considera che è quello che conserva la preparazione. Forse si sente di più il peperoncino. Per provarla dovresti cercare qualche e-commerce che fa spedizioni, dove abiti?

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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