La tradizione e la qualità del Gaglioppo, un’uva autoctona millenaria che dà vita al vino simbolo della Calabria: il Cirò e l’agricoltura biologica di Sergio Arcuri
Storie di una vite
Il Gaglioppo è un vitigno dalle origini antichissime, da sempre diffuso sulla costa Adriatica e poi ionica dalle Marche fino alla punta sud della Calabria. Il suo nome deriva quasi sicuramente da un termine greco che significa “bellissimo piede”, dove per “piede” si intende il rachide e quindi per estensione l’intero grappolo. Definizione appropriata, in quanto la vista dei grappoli maturi di Gaglioppo è davvero appagante anche a livello estetico.
Esso è alla base dello storico vino di Cirò, cittadina molto nota della Magna Grecia, chiamata al tempo Krimisa. La presenza della vite in Calabria e in particolare nel comprensorio cirotano, viene fatta risalire addirittura al 2000 a.C., con l’arrivo sulle sponde del Mar Ionio dei Fenici. I tanti miti e il ritrovamento di reperti, attestano l’esistenza di contatti tra la popolazione autoctona e quella greca già durante la civiltà micenea a cui seguì il massiccio arrivo dei coloni ellenici nel VIII secolo a.C. e poi nel VII secolo a.C.
Nell’area di produzione del Cirò D.O.C., compresa tra il centro collinare di Cirò, il territorio marino di Cirò Marina, parte dei Comuni di Melissa e Crucoli, i coloni rimasero ammaliati dalla fertilità del luogo. Per questo, la chiamarono Enotria, la “terra dove si coltiva la vite”. E furono gli stessi ellenici ad impiantare nuovi vigneti per poi adottare innovative tecniche di vinificazione, grazie alle quali la produzione del vino assunse in questa terra baciata dal sole, grande importanza.
L’antica città di Krimisa
Gli antichi Greci attribuivano un grande valore al vitigno calabrese; dalle tavole di Eraclea si legge: “un terreno coltivato a vite aveva un valore sei volte superiore a quello di un terreno coltivato a cereali”. La città sacra di Krimisa fu fondata dai greci a ridosso di Punta Alice, favoriti dall’approdo sulla costa a Cirò Marina da un lungo lembo di terra sabbiosa. Il luogo divenne meta di pellegrinaggi e acquistò grande fama presso gli antichi per via del mitico Tempio del Dio Apollo Alaios ed degli altri edifici di culto compresi nelle sue mura, come dimostrano recenti scavi resti di un santuario dedicato ad una divinità femminile, con tutta probabilità a Persefone, la Demetra latina; ma nella memoria popolare resta il ricordo anche di un altro tempio, quello dedicato appunto al dio del vino.
Presso il museo archeologico di Cirò Marina sono custodite interessanti testimonianze della cultura enoica del cirotano, che gli storiografi definiscono “la più antica del mondo”. Krimisa inoltre, era situata tra altre due importantissime città greche: Sibari e Crotone. Sibari, in particolare era a quel tempo il fulcro del commercio del vino e pare che per facilitarne il carico sulle navi fossero stati costruiti veri e propri “vinodotti”, realizzati con tubi in terracotta, dentro i quali il vino defluiva dalle colline circostanti direttamente ai punti di imbarco, evitando più gravose operazioni di trasporto.
Il Cirò, vino degli atleti
Il vino di Krimisa era così popolare che il “Cremissa” divenne il vino ufficiale delle Olimpiadi ed offerto, come premio, ai vincitori dei giochi olimpici ateniesi già nel 765 a.C. Fu il primo caso di sponsor ufficiale in una manifestazione sportiva. Nei secoli, i cirotani hanno fatto del loro patrimonio vitivinicolo l’impronta digitale enologica della Calabria, oltre che un motivo di attrazione e richiamo turistico per quel flusso di visitatori interessato alla coltivazione ed alla cultura che ruota attorno alla vite. Qui, ogni famiglia possiede un pezzo di vigna che si tramanda di generazione in generazione.
Virtù nutrizionali
Inoltre il Cirò ha sempre goduto fama di essere dotato di virtù terapeutiche.
A questa conclusione è giunta anche la recente ricerca internazionale svolta anche in Calabria, dall’Università “Magna Graecia” di Catanzaro e dal Dipartimento di Crotone dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria (ARPACAL) pubblicata sul numero di aprile della prestigiosa rivista scientifica internazionale “Journal of Agricultural and Food Chemistry”. Il Gaglioppo, presenta delle qualità, quasi uniche in Italia, che possono contribuire a combattere la sindrome del Parkinson o essere usate come agente antidepressivo.
“La ricerca – comunica l’Arpacal – è nata dal lavoro svolto da un tesista dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, Christian Astorino, di cui il dr. Francesco Russo, direttore del Dipartimento di Crotone dell’Arpacal, è stato co-relatore di tesi, guidandolo in questa importante ricerca volta ad analizzare chimicamente le uve di Gaglioppo delle stagioni vitivinicole 2008, 2010 e 2011. Da queste è stato isolato ed analizzato il kampferol, un particolare flavonoide presente nel vitigno Gaglioppo in quantità e qualità superiore rispetto agli altri vitigni nazionali. Al di là della quantità, l’importanza di questo flavonoide – spiega la ricerca pubblicata sul “Journal of Agricultural and Food Chemistry” – è che contiene un inibitore dell’enzima Mono Ammina Ossidasi (MAO), implicato in alcune patologie neurologiche o neurodegenerative.
Nello specifico, secondo i ricercatori, il kampferol, la cui presenza è massiccia nelle uve Gaglioppo, viene proposto come coadiuvante nella cura del morbo di Parkinson (inibitore del MAO-A), oppure come agente antidepressivo (inibitore del MAO-B)”.
Il vino secondo Sergio Arcuri
“La nostra azienda di famiglia inizia a Cirò nel 1880 con il bisnonno Peppe che, avendo forte passione per la coltivazione della vite e grande spirito di sacrificio, con semplici attrezzi agricoli, lavorava la terra e trasportava il raccolto con cavalli ed asini. Mio padre Peppe, nato nel 1931, già a 9 anni a fianco di suo nonno nella coltivazione della vigna, ereditò da lui esperienza e tecnica di vignaiolo, divenendo ben presto innestatore e coltivatore di viti”. Sergio Arcuri, viticoltore, eredita da tre generazioni la passione per la vigna.
Il suo è un vino artigianale, tipico, genuino, fatto con cura e passione. Gli ingredienti sono, uva gaglioppo da agricoltura biologica e un minimo di solfiti. Produce un Cirò Rosso Classico Superiore (Aris) ed un rosato (Il Marinetto), ottenuti da due ettari di viti vecchie coltivati ad alberello con basse rese e due ettari più giovani impiantati nel 2005 a cordone speronato. Le lavorazioni sono tutte manuali come facevano i vignaioli del passato, fermentazione spontanea con lieviti indigeni in vasca aperta in cemento, un vecchio palmento.
I suoi vini parlano: il Marinetto è un gaglioppo in purezza, un vino fresco, salmastro, di un rosa sorprendentemente brillante e dai profumi di rosa, ciliegia, melograno e erbe aromatiche; il suo Aris raccoglie tutto il vigore di questo straordinario vitigno: colore rubino, sentori di frutta matura e polposa che sfumano in spezie, corposo, dal tannino austero e piacevole che si fonde ad una raffinata freschezza. Quest’anno Sergio ha presentato anche un Cirò rosso classico superiore riserva che ha chiamato “Più Vite”, dalla vendemmia 2011, dopo un’estate particolarmente calda e siccitosa, ma durante la quale il gaglioppo ha resistito benissimo, “uve sane e tannini maturi”.
Sergio è uno di quei vignaioli che ha deciso di puntare tutto sulla qualità del suo vino, scegliendo un’agronomia pulita e compatibile con la natura, come facevano i suoi predecessori. Le condizioni pedoclimatiche dell’area cirotana la rendono perfetta per accogliere questo tipo di coltivazione: vento, sole, poca umidità e assenza di piogge prolungate. Tradizione e qualità vanno di pari passo per un risultato che non delude le aspettative.
Bibliografia e sitografia
Da “Il Giornale di Calabria” del 18/04/2016
Guida ai vitigni d’Italia. Storia e caratteristiche di 600 varietà autoctone, Slow Food Editore
Fonte: Patto in cucina – Prodotti Agroalimentari Tradizionali Tipici Originali per la salute